Cles, l’addio dei frati dopo 400 anni
Dallo scorso mese di settembre i Frati francescani sono andati via da Cles. La notizia, indifferente per molti, è dura per chi era abituato alla loro presenza, per consiglio, confessioni, Messa quotidiana. Si era talmente sicuri della loro discreta presenza, che pare impossibile la loro assenza. Erano rimasti in due o tre, sparuto resto di tanti che li avevano preceduti.
A Trento i frati arrivarono ancora vivente S. Francesco verso il 1223, guidati dal biografo del fondatore, Tommaso da Celano. Si stabilirono poi in città e vi rimasero per secoli, fin che una piena rovinosa del Fersina non li fece traslocare a S. Bernardino, sulla collina di Trento, dove oggi si trovano convento, biblioteca e infermeria.
A Cles arrivarono secoli dopo, al tempo della peste del 1630/31, quando il principe Vescovo Carlo Emanuele Madruzzo era rifugiato nel castello di Nanno. Gli abitanti del capoluogo anaune con il sostegno dei nobili Thun fecero voto – se sfuggivano al contagio – di elevare a Cles un convento per i figli di S. Francesco. I frati si stabilirono nella borgata verso gli anni ‘30 del XVII secolo e nel 1649 ebbero la consacrazione della loro chiesa. Piano piano essa di riempiva di opere d’arte, fra cui la pala del Ricchi e le tele del Vanvitelli (da poco a lui attribuite dai critici).
Continuava nel frattempo l’opera dei frati che vennero incaricati anche della scuola e della educazione della gioventù. Era importante la fornita biblioteca che ai primi del 1900 contava circa 15 mila volumi, oggi in gran parte trasferiti alla Biblioteca Francescana di Trento. Agli inizi i religiosi erano una decina; durante il tempo crebbero di numero, anche perché qui arrivarono gli studenti di teologia.
Durante i secoli i frati tennero molte missioni popolari. I loro umili cercatori, che giravano sul territorio per la raccolta di grano, uva e patate, ridistribuivano poi ai poveri.
I frati erano sempre molto ospitali: durante la guerra molte persone con la loro gamella andavano al convento per elemosinare un piatto di minestra e un po’ di companatico.
Per un certo periodo, specialmente a causa della riforma dell’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa, i religiosi vennero allontanati dalla loro casa, ma poi sempre tornarono.
Nel 1918/19 dovettero ospitare anche i cavalli e i muli del Regio Esercito italiano, ma in seguito i frati rientrarono nelle loro celle e ripresero la loro importante missione.
“Adesso se ne sono andati, rimpianti dalla buona gente che vi trovava sempre un sostegno. In silenzio, come è loro stile, andranno a vivere altrove. La carenza di vocazioni ha portato a questo duro risultato. Però abbiamo speranza che i tempi prendano un’altra direzione e tra non molto, se Dio vuole, ci saranno altri religiosi che si curano dei poveri nello spirito e nel corpo”.
Dopo il 1900, a varie riprese, il convento venne ingrandito e migliorato; si costruirono camere per i chierici e la sala per il Terz’Ordine.
Nel 1956 fu restaurata la chiesa; nel 1957 si inaugurò la “casa s. Francesco” per le attività pastorali e sociali e nel 1984 anche la casa d’accoglienza aperta con l’allora responsabile padre Tiziano Donini, realtà che continua ad operare anche dopo l’uscita di scena dei frati con un amministratore laico e sulla base di una convenzione sottoscritta con la Provincia per l’assistenza a determinate situazioni di fragilità.
Prosegue la sua attività come prima pure l’azienda florovivaistica “i fiori dei frati” con un’amministrazione, struttura societaria che era già attiva da tempo in autonomia dal convento.