IL CONIUGE DIVORZIATO HA DIRITTO A PARTE DEL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DELL’EX CONIUGE?

Come noto il trattamento di fine rapporto, comunemente denominato anche TFR, è un elemento della retribuzione che il lavoratore matura nel corso del rapporto di lavoro e che, fatti salvi alcuni casi ex lege previsti, viene erogato al termine della prestazione lavorativa. La somma versata al lavoratore a titolo di TFR, soprattutto nei casi in cui il rapporto di lavoro si è protratto per diversi anni, può essere di rilevante entità. Di qui l’interesse manifestato da molti lettori a comprendere se, ed in quale misura, il coniuge divorziato possa avanzare pretese su tale erogazione.
La materia è regolata dall’art.12bis della L.898/1970, il quale prevede che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”.
Il coniuge divorziato ha quindi diritto, in presenza di determinati presupposti ex lege previsti, a percepire una parte del TFR maturato dall’ex coniuge. Per poter esercitare tale diritto è necessario che il coniuge divorziato richiedente non abbia contratto un nuovo matrimonio e sia titolare di assegno divorzile. Con riferimento a tale ultimo requisito la giurisprudenza ha specificato che, ove l’assegno divorzile venga revocato prima della maturazione del diritto al TFR da parte dell’ex coniuge, non potrà essere fatta valere alcuna pretesa nei confronti di quest’ultimo. Ove invece la revoca dell’assegno divorzile intervenga successivamente alla maturazione del diritto alla percezione del TFR ed alla sua suddivisione tra gli ex coniugi, il coniuge divorziato a cui viene revocato l’assegno divorzile non sarà tenuto a restituire la parte del TFR in precedenza percepito.
Sul punto la Suprema Corte è stata chiara affermando che “la revoca dell’emolumento (n.d.r. assegno divorzile), già concesso in sede di divorzio, non assume rilevanza ai fini dell’assegnazione della quota di TFR percepita dall’ex coniuge qualora la stessa sia successiva al momento della maturazione del diritto a percepire il trattamento di fine rapporto” (Cass. 24403/2022).
Altro requisito ex lege richiesto per poter richiedere una parte del TFR dell’ex coniuge è che sia stata pronunciata una sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Al riguardo ci si è chiesti se tale richiesta possa essere utilmente avanzata anche nel caso in cui l’ex coniuge maturi il diritto al TFR prima del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. La giurisprudenza ha risposto affermativamente a tale quesito, sancendo che la quota del TFR è dovuta anche se l’indennità è stata percepita prima della sentenza di divorzio, ma dopo il deposito del ricorso con cui è stato introdotto il giudizio.
Esposti i presupposti a cui la legge subordina il diritto del coniuge divorziato ad ottenere una parte del TFR dell’ex coniuge, vediamo ora su quale parte dell’emolumento tale diritto potrà essere fatto valere. Tale quesito trova risposta al secondo comma dell’art. 12bis della L.898/1970, il quale prevede che il coniuge divorziato ha diritto al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Poiché il vincolo matrimoniale cessa solamente con la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel calcolare la parte di TFR dovuta al coniuge divorziato bisognerà tener conto anche degli anni in cui i coniugi sono stati separati. In ogni caso, nel determinare l’importo dovuto bisognerà fare riferimento al TFR ricevuto dall’ex coniuge al netto delle imposte.
Da ultimo, è bene specificare come l’art.12bis della L.898/1970 trovi applicazione a tutte le indennità che maturano alla cessazione del rapporto di lavoro e che vengono determinate in misura proporzionale alla durata di tale rapporto ed all’entità della retribuzione corrisposta, configurandosi come quota differita della retribuzione. Sulla base di tali considerazioni la giurisprudenza ha applicato l’art.12bis della L.898/1970 anche all’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia.
Non rientrano invece nel campo di applicazione dell’art. 12bis della L.898/1970 l’indennità da mancato preavviso per licenziamento in tronco o l’indennità per illegittimo licenziamento, in quanto non aventi natura retributiva ma risarcitoria, e nemmeno l’incentivo all’esodo, in quanto lo stesso non può essere considerato una forma di retribuzione differita ma piuttosto un corrispettivo per il consenso prestato dal lavoratore all’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro. Il coniuge divorziato non potrà quindi vantare alcun diritto sulle somme versate a tale titolo.