La giornata mondiale del malato
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“La salute della sanità … trentina e non solo” (scusate la cacofonia!), è sempre più spesso agli onori (si fa per dire…) della cronaca ma soprattutto della vita di tutti i giorni dei cittadini alle prese con i profondi cambiamenti della società tra invecchiamento, costi alle stelle e risorse sempre più scarse in tasca.
Un momento di riflessione da un’angolatura particolare ce la offre l’11 febbraio 2025 con la “Giornata mondiale del malato”, una ricorrenza a cadenza annuale istituita il 13 maggio 1992 da Papa Giovanni Paolo II.
La data coincide con la festa canonica della Madonna di Lourdes di cui il Papa polacco ora Santo era molto devoto ed è stata scelta perché il popolare santuario mariano francese è da sempre una meta di speranza per gli ammalati e per milioni di pellegrini, e perché sono molti i miracoli di guarigione attribuiti all’intercessione della Madonna di Lourdes.
Quella di quest’anno è la 33a edizione Giornata mondiale del malato e si intreccia con l’anno giubilare che ha come leitmotiv, la speranza.
“Curare il malato curando le relazioni” – ha scritto Papa Francesco nel messaggio tramesso in vista della ricorrenza – perché una delle emergenze più subdole e pericolose della nostra società spesso è proprio la solitudine e l’individualismo che anche con il proliferare dei social e di una tecnologia sempre sfrenata sta conoscendo una pericolosa accelerazione in tutte le fasce della nostra società.
Questa triste realtà – affermava il Papa – è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti). Allo stesso tempo – scrive ancora Papa Francesco – l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare.
La malattia e la sofferenza feriscono infatti, oltre al corpo, la relazionalità e chi ha problemi di salute istintivamente va alla ricerca di una cura che sia anche relazionale e di fiducia verso chi pensiamo possa sollevarci dall’esperienza dolorosa.
Il primo istinto può essere quello di chiedere aiuto, di rendersi conto che da soli non è possibile affrontare questi passaggi esistenziali. Un bambino istintivamente ricorre alla mamma, un adulto cerca un aiuto nell’amico o nella persona amata, un anziano lo spera anzitutto dai figli. È un desiderio spontaneo che spinge gli uomini e le donne sofferenti nasce dalla loro natura sociale.
Su quest’ultimo aspetto ho sentito la voce di una persona in prima fila per quanto riguarda il rapporto con gli ammalati, e la loro condizione umana, il cappellano dell’ospedale di Cles, don Gianluca Leone.
53 anni, di Pinzolo, con una laurea in pedagogia a Padova e in sociologia a Trento, don Gianluca da quattro anni è assistente spirituale presso l’ospedale Valli del Noce e alla A.P.S.P. “Santa Maria” di Cles. Un ruolo che lo tiene vicino, giorno dopo giorno a chi soffre, gli ammalati e le loro famiglie, e con coloro che degli ammalati se ne occupano per professione, infermieri e medici. E non da meno di quanti nel volontariato cercano di dare una mano stando vicino a chi soffre. È anche delegato della Pastorale della Salute della Diocesi di Trento per le valli di Non e di Sole.
Il suo primo approccio con la realtà dell’ospedale è stato durante il Covid e lì ha visto la passione, la dedizione, e l’abnegazione delle persone che operano nella nostra sanità. “Ci hanno messo il cuore e ce lo mettono anche adesso sempre tutti i giorni. Nelle strutture, Ospedale o Casa di riposo, il paziente o l’ospite si sente accolto, accompagnato ed anche amato. Avverto negli ammalati un sentimento di profonda gratitudine verso gli operatori”.
Per don Gianluca è fondamentale il coinvolgimento dei familiari e della ‘rete sociale’ che è anche l’auspicio, o la speranza, che sta alla base del Giubileo 2025.
“Nelle nostre valli il volontariato è attivo anche nel mondo del sofferenza, con i ‘ministri della comunione” che in quasi tutte le parrocchie visitano gli ammalati. Una mezza dozzina di questi ‘ministri’ compatibilmente con la disponibilità di tempo hanno il pass per l’ospedale e l’accesso alle corsie con tesserino di riconoscimento rilasciato dall’Azienda sanitaria.
Ci sono poi i volontari dell’AVULSS (acronimo che significa “Associazione per il Volontariato nelle Unità Locali Socio Sanitarie”) che con regolarità, compatibilmente con la disponibilità di tempo, frequentano autorizzati l’ospedale e le case di riposo.
Martedì 11 febbraio, in occasione della Festa mondiale del Malato, don Gianluca celebrerà la messa alle ore 16 nella cappella della Casa di Riposo “Santa Maria” di Cles per gli ospiti, i familiari, il personale e i volontari. Le iniziative continueranno per tutto l’anno 2025 con momenti d’incontro e visite organizzate con gli ammalati alla basilica di Sanzeno, una delle cinque chiese giubilari decise dalla Diocesi di Trento. “Il calendario preciso ancora non c’è ma abbiamo molte idee in cantiere – afferma don Gianluca nel suo ruolo di delegato per la Pastorale della salute nelle valli del Noce – per cogliere appieno le opportunità di socialità e di comunione che l’anno giubilare ci stimola a mettere in campo”. Momenti da condividere affinché il Giubileo della speranza – come l’ha battezzato il Papa – diventi il volano per superare anche nelle nostre piccole realtà il senso di solitudine e di abbandono che troppo spesso accompagna le persone anziane, disabili ed ammalate.
“Un mondo di sofferenza e disagio che deve poter contare sempre di più con la rete sociale visto che i bisogni sono in crescita. Il volontariato organizzato assume così un ruolo sempre più rilevante” – come ci racconta Fulvio Fugatti, già docente nelle scuole superiori di Cles, che è il referente per le valle di Non dell’AVULSS.
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Attualmente l’associazione in valle di Non conta su 68 volontari ma le porte sono aperte per chi vuole mettersi in gioco dedicando parte del tempo libero a questa che si può definire a tutti gli effetti una missione. Operano nelle strutture e di quelli attualmente disponibili 14 sono a disposizione della Casa di Riposo di Taio, 21 dell’A.p.s.p. “Santa Maria” di Cles, 5 sono di supporto alla Cooperativa GSH (Gruppo Sensibilizzazione Handicap) e 2 del Centro di salute mentale.
Un compito delicato che presuppone disponibilità e la partecipazione ad un percorso di formazione: 19 quelli che hanno frequentato l’ultimo corso organizzato due anni fa. I volontari sono regolarmente assicurati e dotati di un tesserino di riconoscimento.
“Volontari occasionali non sono previsti per una questione di burocrazia e di responsabilità” – spiega Fugatti.