Devozione mariana in Val di Non
Grande è sempre stata la devozione verso la Vergine Maria nelle valli, infatti in Val di Non, non si fatica a trovare pregevoli opere artistiche a Lei dedicate. A Dardine scopriamo una interessante chiesetta intitolata a San Marcello Papa. La chiesa ha origine tra il XIII e il XIV secolo e viene riconsacrata il 23 febbraio 1500 dopo importanti rimaneggiamenti. Il portale della facciata, in pietra bianca e rossa, è decorato con un affresco che rappresenta, a mezzo busto, Maria che regge il Bambino. Nel periodo fra il quattrocento e i primi del ‘500, in valle, la produzione artistica è caratterizzata da uno stile nordico legato al mondo gotico di cultura tedesco-tirolese che si mescola con l’influsso del rinascimento italiano. Questa immagine di Maria è sicuramente di un pittore di cultura tedesca, interessante sono i lunghi capelli biondi che scendono sulle spalle e una elegante corona ornata di perle che le orna il viso ovale, l’espressione è quasi severa, essa presenta il bambino alla venerazione dei fedeli.
Sul fianco della chiesa troviamo anche un altro affresco, risalente alla fine del 1300, attribuito al cosiddetto “Maestro di Sommacampagna”.
La “Madonna del latte” è rappresentata qui come emblema del Verbo che si è fatto carne: la natura divina di Gesù Cristo si è unita all’umana, per questo il bambino ha bisogno di essere nutrito. Questa iconografia, molto diffusa nell’arte di ogni epoca, sottolinea proprio la doppia natura di Cristo: umana e divina, spesso oggetto di eresie. La Vergine appare su un fondo azzurro, sottolineato da una importante ma semplice cornice di colore bruno, giallo e ocra. La linea che contorna la figura è decisa e visibile, i colori hanno una intonazione terrosa.
é però la pala dell’altare maggiore l’immagine più venerata in questa chiesa. Il dipinto su tavola rappresenta una Madonna del cardellino: Maria ha tra le braccia il Bambino che trattiene con una manina l’uccellino, a destra San Marcello papa, titolare della chiesa e a sinistra, San Vigilio patrono della diocesi di Trento. La leggenda narra che un uccellino incontra Gesù che sale al Calvario incoronato di spine. Con il becco l’uccellino toglie una spina dal suo capo, il cardellino si macchia così del sangue di Cristo e la macchia rossa sulla sua testolina lo caratterizza ancora oggi.
é tuttora aperto il dibattito critico sull’autore di questo dipinto. La pala è eseguita a tempera, è composta da quattro tavole perfettamente connesse, misura cm 151per cm 120,5 sul retro è riportata la data di esecuzione 1492 e la firma del suo autore “jeronimus pictor da babenborgensis in trident” ossia Gerolamo proveniente da Banberga città della Franconia in Germania. Probabilmente questo maestro operava a Trento ma non si conoscono altre notizie su di lui. Di stile tardo gotico tedesco, questo dipinto è stato inserito, molti anni dopo, in un altare ligneo barocco attribuito a Simone Lenner (1643-1644).
Tre imponenti figure colmano lo spazio della pala che è delimitato da un fondo lavorato a “Pressbrokat”: una tecnica usata per imitare i pregiati tessuti quattrocenteschi in broccato. La parte più alta è dorata e indica lo spazio infinito del divino. La parte più bassa, argentata, è lavorata con la stessa tecnica come le bordure dei mantelli indossati dalle figure. Maria al centro, è veramente imponente, ritagliata dallo sfondo da una linea netta e sinuosa che ne sottolinea la ricchezza e l’ampiezza dell’abito e del mantello rosso che la avvolge totalmente. La Madonna è incoronata e trattiene il bambino che, guardando gli osservatori, indica con il dito il cardellino. La sacra conversazione è completata dalle due figure ai lati: San Marcello papa e San Vigilio vescovo anch’essi avvolti da imponenti panneggi drappeggiati con ampie pieghe che si distendono in parte anche sul pavimento. Quest’ultimo è forse l’unico riferimento ad una ricerca di profondità di tipo rinascimentale italiano, le formelle quadrangolari degradano verso il fondo dello spazio e sono disposte in prospettiva.
Se ci si sposta di pochi chilometri, sotto l’abitato di Dermulo, si trovano i resti dell’Eremo di Santa Giustina, un’antica chiesetta con attiguo romitorio raggiungibile anche oggi con un ripido sentiero scavato nella roccia. Da questo luogo sacro proviene la pala d’altare che si trova oggi nella chiesa nuova di Dermulo, costruita a partire dalla primavera del 1952. Incastonata nella parete divisoria in quarzite che separa il presbiterio dal coro, il quadro appare ben inserito in un contesto moderno. La tavola rappresenta una Madonna in trono con Bambino, Santa Giustina e San Cipriano. Dopo il forzoso allontanamento dall’eremo dell’ultimo eremita per comportamento disdicevole avvenuto verso gli anni ottanta del 1700, di questo quadro si perse notizia. Nel 1935 il dipinto fu recuperato, trovato smontato e abbandonato in una casa privata fu preso in consegna dalle autorità ecclesiastiche e civili, restaurato, venne poi destinato all’altare della chiesa nuova.
L’autore sembra essere di scuola tirolese del periodo tardo gotico e secondo i critici, collocabile fra la fine del 1400 e l’inizio del 1500.
In questa tavola la Vergine è raffigurata assisa su un trono dorato e trattiene un dinamico Bambino che la abbraccia. Bionda con i lunghi capelli sciolti sulle spalle, è avvolta da un ampio mantello azzurro che copre l’abito rosso. In alto due angeli in volo incoronano la Madonna. Ai lati Giustina e Cipriano benedicono la santa immagine. Come a Dardine, i panneggi di queste figure sono ampi, scendono con pieghe sinuose fino a coprire parte del pavimento e sono movimentate da un importante gioco di chiaroscuri, ancora molto vivi i colori arricchiti da effetti cangianti.
La leggenda Aurea di Jacopo da Varagine racconta che Giustina, figlia di un sacerdote pagano, si era convertita con la famiglia, al cristianesimo ed era insidiata di continuo da Cipriano, un mago il quale ricorse al demonio per conquistarla. Sconfitto però dal Crocifisso il diavolo si ritirò e Cipriano si convertì, divenne poi vescovo. Martirizzati entrambi sotto l’impero di Diocleziano, sono sempre rappresentati insieme.