Il vento più impetuoso non cancellerà il tuo ricordo

In memoria di Giuseppe Antonelli, l’alpinista di Taio deceduto quindici anni fa sull’Himalaya
Da quel tragico epilogo della vita di Giuseppe Antonelli sono trascorsi quindici anni e il ricordo di quel ragazzo gentile e modesto nel suo apparire ma di grande forza d’animo, di tenacia mista ad umanità, è ancora vivo non solo tra i familiari e gli amici più stretti ma anche nella grande famiglia dell’alpinismo che non dimentica i suoi eroi e le sue vittime.
Il 28 aprile 2009 è come fosse ieri nella memoria della mamma Grazia e del papà Ferruccio che rivivono la terribile angoscia provata in quei giorni per le voci che rimbalzavano dal Nepal alimentando un filo di speranza.
Filo spezzato quando è piombata la conferma della morte di Giuseppe colpito da edema polmonare in modo irreparabile al 3° campo a quota 7.500 metri della salita agli 8.163 mt del Manaslu, l’ottava vetta più alta del mondo. Sugli Ottomila Giuseppe c’era già salito, primo noneso in assoluto a riuscirci, nell’aprile del 2005 scalando il Cho Oyu, la ‘Dea Turchese’ che con i suoi 8.201 m s.l.m., è la sesta montagna più elevata della Terra.
Un successo che, come succede spesso per la gente di montagna, non è stato un traguardo ma una tappa verso altre conquiste, altre vette come il Loothse, 8516 m salito nel 2008, il Mc Kinley (Alaska) a quota 6190 e l’Alpamayo (5.947 m) in Perù.
Così è stato anche per Antonelli.
La mamma e il papà temevano che quella grande passione per le altezze impossibili un giorno o l’altro se lo sarebbe portato via quel figlio che con loro era dolce, disponibile, affabile, generoso.
Ma anche determinato nelle sue scelte. Anche quella volta il saluto al momento di partire per l’Himalaya era stato sereno, i genitori non volevano che trasparisse la loro preoccupazione per quell’impresa che sarebbe poi risultata fatale.
Un rischio temuto ma non era possibile fermarlo o dissuaderlo. “Quando parlava di queste spedizioni, che preparava praticamente per oltre un anno combinando le ferie, nei suoi occhi si accendeva una luce immensa. E così anche quella volta è partito contento” – ricordano i genitori riandando a quei momenti poi diventati tragici per loro e per le sorelle Annalisa e Rosalba.
A sorreggerli la certezza che Giuseppe si sarebbe fermato con rinuncia, come era già successo nel 2006 per le cattive condizioni meteo scalando il Sihsma Pongma. Nell’aprile 2009 la spedizione sul Manaslu di cui faceva parte Giuseppe era stata sorpresa da una fitta incessante nevicata che ha bloccato gli alpinisti a 7.500 metri ed è qui che lo ha colpito l’edema polmonare. Adesso vive nel ricordo dei familiari e dei colleghi di lavoro e di alpinismo. Alla sua memoria nel decennale della scomparsa è stata dedicata la palestra di roccia di San Romedio con targa alla base della falesia. La palestra di arrampicata “San Romedio” era stata ‘chiodata’ nell’anno 2002 proprio dal compianto alpinista di Taio e dall’amico Carlo Zottele, presidente di Smarano Climbing.A più riprese e con l’aiuto anche di altri rocciatori della valle sono stati attrezzati ben 24 itinerari con difficoltà diverse che vanno dal 6a al 7b, con una lunghezza media di 23m su pareti verticali leggermente strapiombanti. L’accesso alla palestra di roccia si trova lungo il sentiero che da Sanzeno, (Museo Retico) arriva al santuario scorrendo lungo il vecchio acquedotto irriguo scavato a fine Ottocento nella roccia per portare in quota l’acqua del rio San Romedio. Le varie vie di arrampicata portano nomi fantasiosi che in qualche modo si richiamano alla località, come ‘suore e frati’, ‘la via dell’eremita’, ‘Cleo e Cora’ (i due orsetti nati anni fa in cattività a San Romedio), ‘Yoghi e Bubu’, ‘L’eremita’, ‘Santi e Rampicanti’, ‘Orsa minore’ e perfino una scalata denominata ‘Requiem’.