Quel mitico pesce… Bastone
Il lungo viaggio dello stoccafisso dalle isole Lofoten fino all’Italia
C’è una località, nel Veneto, la cui fama ha travalicato i confini nazionali grazie ad un pesce, il merluzzo, che è diventato il simbolo gastronomico della cucina vicentina.
La località è Sandrigo. Qui nel 1987 l’avv. Michele Benetazzo assieme ad una pattuglia di buongustai gaudenti e impenitenti ha fondato la Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina (bacalà con una sola “C” come esige il dialetto veneto). Lo scopo: salvaguardare l’antica ricetta che vanta oltre 500 anni di storia.
Simboli della Confraternita: la cappa di velluto color bruno argento come le squame del merluzzo, la mantellina gialla come la polenta, il medaglione con in bella mostra Sua Maestà lo stoccafisso e le pannocchie di mais.
A questo punto anche per non incorrere nelle ire degli esegeti va precisato che in Veneto, ma anche in Trentino e in Friuli Venezia Giulia per baccalà si intende familiarmente lo stoccafisso (stockfish, pesce-bastone) delle isole Lofoten (Norvegia) essiccato su enormi rastrelliere come usavano i Vichinghi, mentre nel resto d’Italia per baccalà si intende (dizione corretta, con due “C”) solo quello salato.
Il ruolo fondamentale del Concilio di Trento
Ma partiamo dalla storia di questo pesce-bastone. Tutto cominciò a Trento, sede del Concilio della Controriforma (1545-1563) per colpa o per merito – a seconda dei punti di vista – dei padri conciliari, in particolare dell’arcivescovo di Uppsala (Svezia) Olao Magno, che imposero il rigoroso rispetto del digiuno e dell’astinenza il venerdì di magro, nei giorni di vigilia e durante il periodo quaresimale.
Da allora il baccalà o stoccafisso che dir si voglia ne ha fatta di strada al punto che, che dopo essere stato per secoli il piatto dei poveri, oggi è diventato una prelibatezza da ricchi visti i costi astronomici del mitico «Ragno», la qualità più pregiata di stoccafisso, la cui storia è raccontata in una monumentale opera letteraria dall’accademico vicentino Otello Fabris: «I misteri del Ragno».
Il naufragio del mercante veneziano Pietro Querini
Quanto mai dettagliato il capitolo che Otello Fabris dedica al viaggio avventuroso del mercante veneziano Pietro Querini che, partito da Candia (Creta) il 25 aprile del 1431 e diretto nelle Fiandre con un carico di 800 barili di Malvasia, spezie (zafferano, zenzero, cannella, cardamomo), cotone, cera e altre mercanzie, naufragò (era il 4 gennaio del 1432) nei mari del Nord e con una scialuppa assieme ai marinai superstiti (sedici su 68) finì sugli scogli di un isolotto dell’arcipelago norvegese delle isole Lofoten. Salvati dai pescatori di Røst i superstiti rimasero sull’isola alcuni mesi prima di ripartire alla volta della Serenissima con un regalo prezioso: 60 stoccafissi.
Avventuroso anche il viaggio di ritorno
Viaggio avventuroso anche quello di ritorno. Viaggio ripetuto nel 2007 con due barche a vela da alcuni rappresentanti della Venerabile Confraternita vicentina: tra costoro Otello Fabris, la nobildonna trentina Lina Tomedi e il re del baccalà alla vicentina Antonio Chemello, patron del ristorante «Palmerino» di Sandrigo.
Partiti da Venezia hanno solcato dapprima l’Adriatico, quindi il Mediterraneo e, oltrepassate le colonne d’Ercole, l’Atlantico con tappe a Lisbona, La Coruña, Dublino e Bergen. Ultima tappa le Lofoten dove sono stati accolti in pompa magna. Occasione per rinnovare il gemellaggio con la città di Røst, l’isola norvegese che ogni anno invia in Italia gli stoccafissi più pregiati.
La “Via Querinissima” che unisce 11 Paesi europei
L’itinerario fu ripetuto nel luglio-agosto del 2012, partendo da Sandrigo, ma questa volta a bordo di una Cinquecento gialla: 9 mila chilometri di strada percorsi da quattro membri della Confraternita vicentina: Fausto Fabris, allora presidente della Pro Loco Sandrigo, il tesoriere della Confraternita Carlo Pepe, l’enogastronomo Ennio D’Amico in rappresentanza dei Baccalà Club e Antonio Chemello, coordinatore del Gruppo Ristoratori del Baccalà alla Vicentina. Undici i Paesi europei attraversati lungo quella che è stata ribattezzata la «Via Querinissima» per ricordare Pietro Querini e la Serenissima Repubblica di Venezia.
Durante ogni incontro istituzionale (la comitiva ha fatto tappa anche a Trento, a Villa Madruzzo) i rappresentanti della Confraternita vicentina hanno consegnato alle autorità locali una litografia di Galliano Rosset della Stamperia d’Arte Busato che raffigura la Basilica Palladiana di Vicenza trasformata in una nave vichinga che solca i mari del Nord e che ha come prua la Torre di Piazza dei Signori e come albero maestro uno stoccafisso.
La ricetta originale del baccalà alla vicentina codificata dalla Venerabile Confraternita
La ricetta originale del baccalà alla vicentina, codificata dalla Venerabile Confraternita oggi presieduta da Tiziana Agostini che ha raccolto il testimone dalle mani dell’on. Luciano Righi, prevede tranci di stoccafisso ammollato, cipolle, latte, acciughe, olio extravergine d’oliva, una spolverata di formaggio grana, un ciuffetto di prezzemolo sbriciolato, ma soprattutto una lenta cottura (dalle 4 alle 5 ore). I vicentini dicono: il baccalà deve “pipare”, ovvero cuocere a fuoco lento. È la ricetta che i buongustai vicentini dal lontano 1947 (ma guarda un po’ coincide proprio con il mio anno di nascita!) hanno il piacere di assaggiare a Sandrigo dal mitico «Palmerino», nume tutelare Antonio Chemello che nei giorni scorsi ha festeggiato il duplice prestigioso riconoscimento assegnato dalla Guida Michelin e dalla Guida «Mangiare e bere bene in Veneto» che ha premiato l’antica trattoria Palmerino come miglior ristorante di baccalà del Veneto. Chapeau.