La stregoneria (4a parte)  

La stregoneria (4a parte)  
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Cenni e testimonianze nelle valli del Noce

Negli articoli precedenti abbiamo visto, molto velocemente, l’argomento stregoneria come viene percepito nelle Valli del Noce. La Val di Sole principalmente, se non completamente, è legata a leggende e superstizioni mentre, oppostamente, la Val di Non vede una ricca documentazione storica data dai vari processi dell’inquisizione. Ora vediamo, con l’aiuto di una leggenda solandra, come fosse molto semplice accusare una persona di stregoneria, e di conseguenza, portarla dinnanzi al tribunale inquisitorio.


Come la Val di Strino da Vermiglio passò a Castello

(Leggenda tratta pari pari da un testo di Quirino Bezzi)

Anche a quei tempi Vermiglio era già un popoloso villaggio, dove la gente lavorava sodo nei campi, nei boschi, nei pascoli alpini, nei prati di monte. E come in tutti i paesi grossi non tutta la gente era buona ed onesta, e come in tutti i paesi del mondo anche a Vermiglio la gente non buona e non onesta non era gradita. Così era poco gradita donna Lualda, che tanto faceva parlare di sé dei filò e nei crocchi sulle vie.

Di lei se ne raccontavano di tutti i colori. Dicevano perfino fosse in relazione con le streghe del Tonale e gettasse il malocchio alle persone e alle bestie. Infatti “la grisa” di padron Drea non aveva più dato latte, dopo che donna Lualda l’aveva accarezzata, e la Menega aveva perduto ad uno ad uno tutti i denti, dopo che s’era bisticciata con donna Lualda per una quarta di segale, che Lualda pretendeva al posto d’una “minela” di orzo pestato per la minestra.

Intrigante non solo, ma anche un po’ facile di costumi… e qui la lingua delle donne le tagliava spesso e volentieri, a torto ed a ragione, i panni addosso e più d’una s’era imbronciata col marito, perché questi era stato visto dalle vicine a parlar con donna Lualda, vedovella scaltra, intrigante, litigiosa, bruttina anzichenò, almeno a sentir le donne, obbrobrio del paese, così spudorata e cattiva.

Almeno fosse venuto qualcuno da fuori per sposarsela e portarsela via! Ma chi avrebbe potuto farlo, se donna Lualda non aveva il becco di un quattrino, né un campicello per l’orzo e la segala, nè un bocconcino d’orto per mettervi una pianticella di insalata, insomma non aveva alcuna dote?

Ma le donne, quando ci si mettono… san compiere anche i miracoli! Cosa teneva a fare il comune di quella Val di Strino, dove non portavano che raramente le bestie al pascolo, con tanto territorio che si aveva e verso il Boai, e verso Barco, e sul Tonale? Non avrebbe potuto il comune farne la dote a donna Lualda e così levarsela dai piedi, a sollievo di tante famiglie messe in pericolo dal suo fare così palesemente da peccatrice?

Dai oggi, dai domani, la “regola” dei vicini un bel giorno accettò la proposta di qualche marito, che, se non l’avesse fatta, alla sera avrebbe visto a casa sua musi lunghi a non finire. E poiché anche le mogli degli altri facevano pressione, la proposta di dotare donna Lualda della Val di Strino fu accolta fra il mormorio di qualche uomo e la gioia di rivincita delle donne.

Ora però non è tutto. Bisognava trovare l’uomo che si prendesse in moglie un simile esemplare femminile. Ma poiché il più era fatto, sarebbe venuto anche il resto.

Comare Tonia, che aveva un sacco di conoscenze nei paesi della valle, s’incaricò delle ricerche.

Ed ecco un bel giorno imbattersi nel “regolano” di Castello il quale, com’è di tanti amministratori, si lamentava delle scarse risorse boschive del suo paesello.

– Ma perché, ser Bortolo, non ci mettete rimedio, ora che ci sarebbe l’occasione?

Quale occasione comare Tonia?

– Ma non sapete che i vicini di Vermiglio han dotato quella buona figliola di donna Lualda di tutta la Val di Strino? A chi non farebbe gola donna Lualda? Va bene che sia vedova, ma non è sciupata; è ancor piacevole e sa fare un monte di cose! Perché non trovate a Castello un par suo che potesse prendersela in isposa? E magari pattuire che se rimanessero senza figli la dote di donna Lualda passerebbe in possesso alla comunità?

Dite sul serio, comare Tonia? Avrei proprio un ometto che andrebbe a fagiolo, ma come persuader donna Lualda a lasciar Vermiglio per Castello?

– Di questo non impicciatevi, che ci penserò io a persuaderla.

A farla breve il matrimonio fu ben presto combinato e donna Lualda, con in dote la Val di Strino, da Vermiglio passò a Castello.

Non però prima di aver sentito nel dì degli sponsali, un’infernale musica di padella rotte, di corni stonati, di catene strascinate, di strida e grida, conforme alla vecchia usanza di salutare così fragorosamente la nuova esperienza matrimoniale del vedovo e della vedova che si risposa.

E la coppia rimasta senza figli, alla morte lasciò al comune il terreno della dote. Così Castello ebbe un buon possesso e le donne di Vermiglio non ebbero più a far la guardia ai loro sposi, perché, da quei tempi lontani in poi, nessuna si comportò male, temendo che il Comune non avesse a darle una simile dote per spedirla chissà dove!


Dalla lettura possiamo notare come, l’unione delle donne, sia riuscita con un sotterfugio ad allontanare l’indesiderata per sempre.

Ora mescoliamo un pochino le carte, il terreno non è più merce di scambio ma la ricompensa, mentre l’allontanamento (o meglio il processo per stregoneria) diventa la merce di scambio e non la ricompensa.

Sembra un pochino complicato ma, se nel caso del racconto alla donna viene regalato il terreno come dote e alla fine resta come dono al comune, nella Val di Non (ma non penso sia una realtà fine a sé stessa), il terreno o una parte di esso viene dato in ricompensa all’accusatore, per il merito di aver portato all’attenzione dell’inquisitore una strega, colei che pratica la stregoneria per usarla nei suoi malefizi.

Era uso infatti ricompensare l’accusatore con i beni, o parte di essi, perché alla vittima non sarebbero più serviti, anche se non riconosciuta come strega sarebbe comunque stata bandita dalla comunità (ma in realtà succedeva raramente), ma vediamo la dinamica delle accuse.

Ricordiamoci che ci troviamo in un arco temporale molto particolare, la superstizione e la paura erano molto comuni, era sufficiente ad esempio gettare un sassolino tra due sposi il giorno delle nozze per causarne l’infertilità; parlare con il proprio gatto domestico come fosse un essere umano (cosa comune e per niente strana ai nostri giorni), per essere additata non come gattara ma direttamente come strega; il volo notturno era all’ordine del giorno e nel caso di accusa abbiamo la parola mia (accusatore) contro quella di una donna sola, molto probabilmente emarginata dal paese perché zitella oppure vedova o, nel caso della nostra leggenda, di “buoni costumi”.

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