Soprannomi di Mezzolombardo e Mezzocorona
I soprannomi segnano come noto una definizione di uomini o luoghi che vuole meglio specificare di cosa si parla ovvero talvolta, canzonare in modo irriverente una persona, o in alcuni casi, addirittura un’intera comunità. Spesso questi motti, se riguardano i paesi, hanno origini che risalgono nel tempo passato, quando l’antagonismo fra le piccole comunità del territorio era acceso, per motivi che molte volte riguardavano il vivere quotidiano. Oggi si sorride su queste frecciate che ormai forniscono motivi per discussioni al bar. Il soprannome di “forcoloti” (Mezzolombardo) e “brusacristi” (Mezzocorona) che si sono dato gli abitanti dei due paesi, parte da lontano, ai tempi della suddivisione in due diverse comunità al di qua e al di là del Noce, avvenuta per motivi politici nel 1271. Le due piccole comunità iniziarono a costruire una loro propria peculiare identità che le contrapponeva avendo come motivo di divisione proprio il confine instabile determinato dal corso del Noce. Come molti sanno il Principe Vescovo Egnone nel 1271 istituisce la vicinia di Mezocorona separandone il territorio, sino allora l’intera piana del Nos, da quello del vecchio comune di Mezo San Pietro. E le liti sulla giurisdizione territoriale fra i da Mezzo locali dinasti per conto del Conte di Tirolo, e quelli presenti a Mezo San Pietro come ufficiali amministratori del Principe Vescovo, sono registrate nei documenti d’archivio. Siamo nel 1336 ed Ebele dominus figlio di Utone da Mezzo, aggredisce Fioravante, viator per conto del Capitano del Vescovo, in un prato detto alla Moluvella sito alla Nave.
La vertenza riguardava chi avesse la giurisdizione in quel luogo destinato al pascolo degli animali. La sentenza nata dalla lite, diede ragione a Mezolombardo, ma non pose fine ai conflitti. Sappiamo che Ebele aggredì Fioravante con un coltello e quest’ultimo si difese usando un forcone da fieno. Sempre la forca venne usata dai contadini di Mezzolombardo nel 1484, quando si difesero dalle angherie esercitate da Nicolò Firmian castellano della Corona di Mezo, che pretendeva di avere giurisdizione all’Ischia Lunga dove avevano portato al pascolo i loro animali. Fra l’altro questa Ischia, che esisteva in mezzo al Noce, era stata oggetto di divisione e arbitrato due anni prima, proprio da parte del vescovo Giovanni Hinderbach e Nicolò Firmian, dopo che quest’ultimo aveva ferito e fatto prigioniero un pastore di Mezzolombardo. All’Hinderbach avevano infatti fatto ricorso gli uomini di Mezzolombardo ricordandogli le sue prerogative di avvocato difensore della comunità, contro le violenze e le ferite inflitte dal dinasta, un guerriero più avvezzo all’uso delle armi che alla parola, e il vescovo, che era un attento attore del proprio potere giurisdizionale, non mancò di esercitare il diritto che gli spettava.
Riportiamo infine quanto scrive agli inizi del ‘900, G.B. Fedrizzi di Mezzolombardo, perché significativo che l’annosa questione delle liti, ancorché non più per fortuna con spargimento di sangue, era ancora ben viva.
“Sull’origine di questi nomignoli mi ricordo d’aver udito da fanciullo, raccontare questo. Fra i due paesi per questioni campanilistiche esistevano dei rancori che passavano di generazione in generazione, rancori sempre tenuti vivi sia dall’antagonismo fra gli interessi delle due ville sia dalle frequenti baruffe fra i buli di ambo le parti. Luogo degli scontri era naturalmente il confine fra i due paesi che era segnato dal Noce, cosicché le rive dello stesso e il ponte della “fucina” servivano da campo di battaglia. Ora avvenne che un giorno quei di Mezocorona appiccassero il fuoco ad un crocifisso posto alla metà del ponte dai Mezolombardi. Per salvare il loro crocifisso questi ultimi ricorsero all’aiuto delle forche e con questo impedirono l’atto sacrilego: di qui gli uni a gridare “brusacristi” e gli altri di rimando “forcoloti”. Il crocifisso citato da Fedrizzi non esiste sulle carte topografiche dell’epoca, ma possiamo certamente credere vi fosse perché porre crocifissi vicino ai corsi d’acqua è un topos della devozione popolare. Ne esiste infati tuttora uno, a lato del ponte della Retta sulla statale n. 43 che da Mezzolombardo porta a San Michele; così lo descrive il Brentari nel 1902 “…usciti dalla stazione …l’omnibus impiega sino a Mezolombardo circa un quarto d’ora…si lascia a sinistra una croce di ghisa col Cristo dorato e colla scritta: Rinnovato – dalla pietà dei fedeli – MDCCCLXXXVI”.
Quello che vediamo oggi però è di un uniforme, pesante color grigio, così restaurato nel 2014 dalla Provincia di Trento dopo un fortuito abbattimento da parte degli operai addetti ai lavori di sfalcio dell’erba laterale alla strada: anche questo crocifisso ha una sua storia che qui però non raccontiamo.
Ecco, quindi che nella storia passata esistono tutti gli ingredienti veri, non solo racconti, che hanno dato origine, tramandando, pur con inevitabili deformazioni e aggiunte, ai soprannomi giunti sino a noi. Un fondo di verità alla base delle denominazioni, che si è perso nel tempo, e che oggi, quando ancora si parla di questo, spesso molti non conoscono.