Le guerre rustiche
In questi ultimi anni, capita spesso, durante le sagre o varie manifestazioni, di assistere a rievocazioni storiche aventi come tema le rivolte contadine contro iil Vescovo ed i nobili. Sono le cosiddette “guerre rustiche”. In genere, però, viene rappresentata solamente la terza, cioè la ribellione del 1525, tralasciando le due precedenti.
Dalla prima all’ultima sommossa passò più di un secolo ma l’origine e la causa scatenante, in tutte tre, ebbero un denominatore quasi comune. Lo svolgimento e i risultati non furono, però, sempre uguali.
La prima guerra rustica iniziò il 2 febbraio 1407 a Trento contro il governo vescovile. Era capeggiata da Rodolfo Belenzani, che si era messo alla testa a un gruppo di insorti al grido di “viva il popolo e il signor e mora il traditor”.
Il vescovo tentò di bloccare la rivolta ancora sul nascere con varie promesse, ma, nonostante questo, fu arrestato e chiuso nella torre Vanga dove, per intimorirlo, gli furono mostrate le teste mozzate di due suoi collaboratori, decapitati poc’anzi. Ben presto la sommossa si estese anche alle valli di Non e di Sole, non solo contro il vescovo ma contro i suoi funzionari, troppo esosi, avidi e ingordi.
I Cazzuffo di Tuenno si misero a capo della rivolta sperando, così, di vendicarsi degli Altaguardia di Bresimo e degli S. Ippolito di Mechel, loro nemici giurati.
Con un’azione a sorpresa gli insorti incendiarono i due castelli e fecero bottino di tutto quello che si poteva asportare. La notizia si diffuse rapidamente e contaminò anche gli abitanti di Cles che appiccarono il fuoco alla casa del vicario vescovile. La stessa cosa successe a Revò e a Sarnonico.
Allora il principe vescovo Giorgio di Liechtenstein, impaurito, convocò due rappresentanti per ogni pieve e promise loro di allontanare i suoi collaboratori che si erano comportati male.
S’impegnò a non ricostruire i castelli demoliti dai rivoltosi e concesse nuovi privilegi agli abitanti delle valli di Non e di Sole. Della corte feudale vescovile faceva parte anche Erasmo di Thun.
La seconda guerra rustica scoppiò il 29 maggio 1477 a Sanzeno, dove si era radunata una gran folla, per la festa dei Martiri Anuniesi.
I motivi erano sempre gli stessi: lamentele contro le angherie dei delegati vescovili accompagnati, inoltre, dalla richiesta di spostare la sede giudiziale da Coredo in una località più comoda. I rivoltosi (circa quattromila), al grido di “viva il popolo, abbasso il vescovo, viva il Tirolo”, imboccarono i sentieri della campagna e, giunti a Coredo, assediarono il castello saccheggiando anche le case degli impiegati.
L’insurrezione fu appoggiata pure da Sigismondo Thun di Castelfondo e dai suoi quattrocento soldati desiderosi di usurpare le proprietà del principe vescovo tridentino. Anche il duca del Tirolo colse la palla al balzo e, con il pretesto di mantenere l’ordine pubblico, occupò levalli di Non e di Sole. I capi dell’insurrezione erano tutti nonesi e solandri. Uno proveniva da Dermulo, un altro di Cles, due di Romallo e due della Val di Sole. Da Coredo la rivolta si estese anche Croviana, Malè, Terzolas, Monclassico, Brez e Cles.
Sedata la rivolta, nelle due Valli tornò la calma ma solo nel 1488 il conte Sigismondo Thun riconsegnò i territori al successore dell’Hinderbach, il principe vescovo Udalrico di Frundsberg.
La terza guerra rustica (o guerra dei contadini) scoppiò nel 1525 in seguito ad un movimento europeo che si collegava al protestantesimo, all’umanesimo e all’egualitarismo del cristianesimo primitivo.
Nella nostra provincia la rivolta ebbe anche altre connotazioni derivanti, soprattutto, dai nuovi provvedimenti emessi da Massimiliano I. Essi, limitavano fortemente l’autonomia della Valle e impedivano alla popolazione l’esercizio della caccia e della pesca, nonché l’uso dei pascoli e dei boschi. In quel periodo, inoltre, furono imposte anche nuove tasse (Steuren) per pagare i debiti di guerra.
La rivolta ebbe inizio a Bressanone, ma in breve tempo dilagò anche in Trentino, specialmente in Valsugana, in Vallagarina e in val di Non. I nostri rivoltosi erano guidati da un certo Francesco Cleser al quale si aggiunse il parroco di Revò De Magistris, un Antonio Paolin da Priò, un Truca da Brez e tanti altri.
La maggior parte degli insorti proveniva da Cloz, Revò, Dambel, Taio. Gli abitanti di Cavedago Sporminore, Andalo, Spormaggiore, Molveno e Flavon occuparono il Castel Spaur-Rovina.
Giorgio List, di Mezzocorona, con settanta uomini armati, occupò il forte della Rocchetta, sorvegliato da Antonio Thun. I rivoltosi misero a ferro e fuoco la valle, incendiando i castelli e le canoniche impadronendosi dei denari e delle derrate provenienti dalle decime.
Alla fine decisero di assaltare anche la città di Trento, dove li attendevano gli insorti delle altre valli ma, giunti alla Rocchetta, trovarono, assieme al conte Sigismondo Thun, Baldassarre Clesio, fratello del vescovo Bernardo, i quali fecero credere loro che dal passo del Tonale stavano entrando i lanzichenecchi mandati dall’imperatore per portare la calma in valle.
I rivoltosi, tutti impauriti, fecero frettolosamente ritorno ai rispettivi paesi per difendere le loro mogli e le loro case. Ancora una volta i nostri valligiani furono gabbati e, così, ebbe maldestramente fine la terza guerra rustica. Ora bisognava, però, pagare lo scotto. Il Vescovo Clesio usò il pugno di ferro. Molti capi furono giustiziati o mutilati, altri esiliati o costretti a pagare enormi somme. Inoltre i rappresentanti d’ogni paese dovettero recarsi a Revò per rinnovare il giuramento di fedeltà al vescovo.