L’inverno dei … tamponi
Il Covid 19, nonostante la massiccia campagna di vaccinazione e la più che responsabile risposta dei cittadini in termini percentuali, continua a condizionare l’informazione e di conseguenza la vita e le attese della gente.
Di quest’inverno, fortunatamente meno problematico del precedente ma ancora lontano dalla cosiddetta normalità, rimarrà il ricordo delle file davanti o sul retro delle farmacie per accedere al tampone rapido, il lasciapassare necessario per rimpatriate familiari e di lavoro, o semplicemente per essere più sicuri.
Per quanto ancora?
Il 2022, almeno a stare agli annunci tutt’altro che univoci degli esperti, la pandemia e la miriade di crisi che ha generato potrebbero iniziare a recedere in modo stabile. Ma anche nello scenario migliore che tutti auspichiamo, quella che si prospetta è una fase di nuove sfide che non possono essere affrontate con le modalità e i meccanismi decisionali del passato.
La pandemia infatti ha rivelato falle e carenze che hanno minato non poco la fiducia dei cittadini nelle capacità della politica di affrontare aspetti fondamentali della società come la prevenzione e la salute.
Non da meno l’economia e la vita di tutti i giorni che, archiviato il timore di nuovi lockdown generalizzati, deve fare i conti con l’aumento del costo della vita che si preannuncia andare di pari passo con l’uscita dall’emergenza sanitaria. Da citare infine la ricomparsa di una parola che l’Euro ci aveva quasi fatto dimenticare, l’inflazione.
Di fronte a rischi crescenti e alla incapacità di tenervi fronte, abbiamo iniziato a cercare i colpevoli. Alcuni puntano il dito contro leader politici inetti, altri incolpano i dirigenti aziendali ma c’è anche chi, e non sono pochi, vede una cospirazione delle élite mondialiste.
Trovare risposte definitive non è mai facile e in Italia ancora di più perché i processi, quando si fanno, non finiscono mai.
La verità è complicata ma appare sempre più evidente che l’approccio adottato a breve termine, per tentativi ed errori, ha portato a una gestione confusa della pandemia e delle sue ricadute socioeconomiche. Al centro della nostra incapacità di prevedere e gestire i rischi c’è un problema di governabilità e le istituzioni con le rispettive leadership non infondono grande fiducia nel futuro. In questi mesi di pandemia talvolta si è sentito echeggiare la parola ‘guerra’ come impropria similitudine per le difficoltà causate dal virus arrivato poco più di due anni fa dalla Cina.
Dalla tragedia della seconda Guerra Mondiale siamo usciti perché nelle istituzioni e nell’imprenditoria, c’erano leader forti. Era una società in cui potere e gestione gerarchica funzionavano, e i progressi tecnologici ed economici avvantaggiavano quasi la totalità dei cittadini lasciando intravvedere un avvenire positivo per tutte o quasi le classi sociali ed in particolare per i giovani: in una parola fiducia nel futuro. Adesso è tutto più complicato. L’interdipendenza tra i popoli e tra le economie del mondo, dimostrata con evidenza anche dal Covid 19, condizionano le scelte di ciascuno Stato e qui entrano in gioco la tempestività e l’efficacia delle decisioni da prendere. Il mondo oggi sta affrontando gravi perturbazioni causate da collegamenti commerciali interrotti, dall’impennata dei prezzi energetici e del rimpallo tra domanda e offerta di lavori che non ci sono più e di nuove professioni che non trovano risorse umane all’altezza. Una complessa competizione tra sistemi e rischio di conflitti anche nella ‘vecchia’ Europa in paesi non molto lontani dai nostri confini.