Affitto di fondi rustici
E’ possibile sciogliere il vincolo contrattuale prima della scadenza del contratto?
In questo articolo andremo a trattare un tema di particolare interesse per i coltivatori ed i proprietari di fondi rustici, ossia quello relativo alla durata del contratto di affitto agrario e la possibilità per le parti di sciogliersi dal vincolo contrattuale.
La normativa in materia di affittanza agraria è per lo più rinvenibile nella Legge 203/1982, la quale ha attribuito una posizione di particolare favore al contadino-affittuario. Il legislatore ha voluto così privilegiare gli interessi e le esigenze di chi con costanza coltiva i terreni e li rende fruttiferi, rispetto ai diritti del locatore-proprietario, ciò nell’ottica di favorire la stabilità delle aziende agricole e la produttività delle stesse.
La posizione di particolare favore attribuita al contadino-affittuario emerge chiaramente analizzando la disciplina relativa alla durata del rapporto di affittanza agraria, nonché quella dettata dalla Legge 203/1982 in materia di recesso e risoluzione del contratto.
In via generale l’art. 1 co.2 della L.203/1982 stabilisce che “i contratti di affitto a coltivatori diretti, singoli o associati, hanno la durata minima di quindici anni, salvo quanto previsto dalla presente legge”. Salvo casi particolari espressamente disciplinati dalla legge, il contratto di affitto di fondo rustico stipulato tra il proprietario del terreno ed un coltivatore diretto senza assistenza sindacale avrà quindi una durata minima di quindici anni, rinnovabili automaticamente alla scadenza per altri quindici anni in mancanza di disdetta, quest’ultima da darsi a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno con almeno un anno di preavviso (art.4 L.203/1982). Una durata legale inferiore, pari a sei anni, è invece prevista per i cosiddetti affitti particellari, disciplinati dall’art. 3 L.203/1982. Trattasi di contratti di affitto stipulati con riferimento a piccoli appezzamenti di terreno siti in territori di chiarati montani e non costituenti, neppure unitamente ad altri fondi condotti dall’affittuario, un’unità produttiva idonea ai sensi di legge. Per agevolare l’instaurazione dei rapporti di affittanza agraria è stata poi concessa alle parti la possibilità di derogare ai termini di durata dianzi esposti mediante i c.d. “patti in deroga”, ossia attraverso accordi stipulati dalle parti con l’assistenza delle rispettive organizzazioni sindacali di categoria. Alla luce di quanto esposto è quindi evidente la volontà del legislatore di garantire all’affittuario-coltivatore una certa stabilità nella conduzione del fondo.
Tale ratio è alla base anche della normativa dettata in materia di risoluzione e recesso dal rapporto di affittanza agraria.
Ed infatti, solo all’affittuario è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto in qualsiasi momento, mentre il proprietario potrà tutt’al più richiedere la risoluzione del contratto in determinate ipotesi di grave inadempimento espressamente indicate dalla legge.
In particolare, in attuazione dello spirito di particolare favore verso l’affittuario dei fondi, la legge ha attribuito solamente a quest’ultimo il diritto di recedere dal contratto di affitto. Diritto che l’agricoltore potrà esercitare in ogni momento e senza necessità di addurre alcuna particolare motivazione, semplicemente dandone comunicazione al locatore mediante apposita lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, con un preavviso di almeno un anno dalla scadenza dell’annata agraria. Ed infatti l’art. 5 co.1 L.203/1982 prevede che “l’affittuario coltivatore diretto può sempre recedere dal contratto col semplice preavviso da comunicarsi al locatore, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria”.
Ove il termine di preavviso non sia rispettato il recesso non avrà effetto nel termine voluto dall’affittuario, ma potrebbe valere per l’anno successivo. Il proprietario-locatore, invece, non potrà mai recedere a suo piacimento dal contratto, potendo tutt’al più impedirne il rinnovo alla scadenza mediante apposita disdetta, o chiederne la risoluzione in caso di grave inadempimento dell’affittuario.
Su tale ultimo punto è bene rilevare come l’art. 5 L.203/1982 ammetta il locatore a richiedere la risoluzione del rapporto di affitto agrario solamente in presenza di un inadempimento di particolare gravità da parte dell’affittuario ed in ipotesi espressamente predeterminate dalla legge, ed in particolare nei seguenti casi:
- mancato pagamento di almeno un’annualità di canone;
- cattiva conduzione e gestione del terreno (violazione degli obblighi di normale e razionale coltivazione del fondo, di conservazione e manutenzione dello stesso e delle attrezzature ad esso relative);
- subaffitto o subconcessione del terreno.
In questi casi il locatore, prima di esperire apposito tentativo di conciliazione innanzi all’Ispettorato per l’Agricoltura ed agire in giudizio, dovrà contestare all’affittuario l’inadempimento inoltrandogli apposita raccomandata con ricevuta di ritorno contenente la specifica descrizione della condotta incriminata e l’illustrazione delle proprie motivate richieste. In mancanza di tale contestazione l’azione sarà improponibile.
Ricevuta la comunicazione di cui sopra si è detto l’affittuario potrà, entro tre mesi dal suo ricevimento, sanare l’inadempimento posto in essere, ed evitare così la risoluzione del contratto.