Lover, scrigno d’arte, fede e storia
Il paese di Lover, oggi nel comune di Campodenno, aveva da sempre due chiese. La prima – forse risalente al tempo dei Longobardi, quindi al VII-VIII secolo – era dedicata a S. Giorgio e si trovava nel centro del villaggio. Fu la principale chiesa del paese per molti anni, finché il 23 aprile 1872 fu venduta a Francesco Turrini per 300 fiorini austriaci e ridotta a casa privata. Un attento restauro di circa trent’anni fa ne ha evidenziato la antica struttura e le pareti affrescate da Giovanni e Battista Baschenis sul finire del 1400. Sono raccontate con le pitture le storie di S. Lucia e di S. Caterina. Altri affreschi, più antichi, sono del Maestro di Sommacampagna (sec. XIV) e di diverse mani. La chiesetta dei santi Filippo e Giacomo (confuso con il Maggiore venerato a Compostela in Spagna) invece si trova sotto la frazione di Segonzone. Anche qui si vede negli affreschi la mano dei Baschenis, che hanno dipinto le pareti con maestria. La piccola chiesa fu a lungo nei secoli usata per la sepoltura dei conti Khuen del vicino castello Belasi.
A causa della crescita degli abitanti verso il 1860 il curato don Francesco Valentini, rimasto in paese per circa dieci anni dal 1858, volle che le vecchie chiese fossero abbandonate, per farne una nuova quasi a metà strada fra Lover e Segonzone.
Con enormi sacrifici, percorse tutto il Tirolo chiedendo la carità per l’opera intrapresa durante gli anni dal 1860 al 1863. Non fu aiutato dalla famiglia Khuen, che vantava antichi privilegi nelle due chiesette già nominate. Con sacrificio e coraggio, don Valentini concluse i lavori nel 1863 e il giorno 8 agosto 1865 la chiesa, dedicata all’Immacolata Concezione, fu consacrata in modo solenne. Una lapide sulla controfacciata ricorda il cuore di don Francesco Valentini.
A fianco della chiesa, distaccato da essa, sorge il campanile, elevato nel 1898 anche con il contributo decisivo dei Khuen di Castel Belasi. Nel 1901 il pittore Zanoni decorava la volta e le pareti, dipingendo anche S. Edoardo re di Inghilterra sulla campata di fondo della chiesa. Il santo, vissuto fra il 1003 e il 1066, era patrono del conte Edoardo Khuen. Si racconta del santo un episodio: “aveva regalato il suo anello prezioso a un povero, che poi riapparve in Terra Santa sotto le parvenze dell’apostolo Giovanni, beneficato e riconoscente”.
Il Zanoni dipinse sul catino dell’abside il Cristo pantocratore, con a fianco i patroni dei due paesi (S. Giorgio e S. Lucia per Lover, S. Giacomo il Minore per Segonzone e S. Cristoforo per Castel Belasi). Sulla volta sono raffigurati S. Giuseppe, i quattro Evangelisti, molti angioletti e S. Edoardo re (sono debitore di tante notizie a Mariano Turrini, che le ricorda nel suo documentato volume “Castel Belasi e i conti Khuen”).
Alle pareti vengono presentate, in sanguigna, le Virtù cardinali e teologali. Appesi nell’abside sono due vecchi quadri con S. Giorgio e S. Giacomo, mentre alcune statue sono sulle pareti (nelle due cappelle l’Immacolata – di cui si celebrano le sagre nella seconda domenica di maggio e di settembre – e S. Lucia, la patrona di Lover). A proposito della feste in onore della Madonna, la sagra di settembre è quasi scomparsa per i lavori in campagna con la raccolta delle mele. Era una devozione di don F. Valentini che ricordava la Madonna de La Salette, apparsa a Maximin Giraud e a Melanie Calvat il sabato 19 settembre 1846. Ella piangendo aveva rimproverato i lavori festivi e le bestemmie, minacciando secondo i costumi del tempo gravi castighi. La malattia delle viti e il cattivo raccolto delle patate (pochi anni prima v’era stata la tremenda carestia in Irlanda) sembrarono una conferma al pianto della Madonna. Da qui anche per Lover la venerazione de La Salette, a cui la chiesa nuova fu aggregata. L’edificio sacro del paese fu costruito sul modello della chiesa di Nave S. Rocco. La semplice facciata a capanna, con la finestra a mezzaluna, introduce nella navata molto luminosa. Sulla torre campanaria erano le 4 campane volute dai Khuen al finire del 1800 (fuse a Trento dai Chiappani). Nel 1916, per esigenze militari, tre erano state asportate. Dopo la guerra furono rifuse a Crema dalla ditta D. Adda.