Sanzeno, nel vòut dove scorre la storia contadina della Valle di Non
La ricchezza e la signorilità da una parte, il mondo contadino povero dall’altra. E’ questo il contrasto che il visitatore avverte varcando la porticina dell’edificio al fianco di casa de Gentili, palazzo nobiliare che grazie ad un importante restauro, documenta quella che era la dimora di una famiglia intraprendente e danarosa di una volta in val di Non. Un bel contrasto con la vita popolana che rivive nella casa vicina nei cui avvolti, con ben 8.000 attrezzi anche se in gran parte non adeguatamente esposti per ragioni di spazio, scorrono le emozioni e gli oggetti del passato povero ma dignitoso del mondo contadino anaune.
A farci da guida, entrando nella bassa porticina della casa contadina, è Giuseppe Wegher, già sindaco del paese (anni Ottanta) e da anni appassionato documentarista e collezionista di ricordi, oggetti, utensili e testimonianze del passato lontano e recente della vita della Valle di Non.
Nei locali con gli avvolti a botte scorrono come in un film duecento anni di vita contadina con attrezzi, mezzi di trasporto, fotografie, schede e tanto altro sull’attività agricola in Val di Non, nell’arco di tempo approssimativo 1800 – 2000.
Ogni cosa, anche la più banale, ha un nome declinato in italiano o più spesso in solo nones perché il dialetto, per gli oggetti come nella parlata, ha quell’immediatezza che la lingua ufficiale non riesce ad esprimere.
Gli oggetti e gli arnesi sono esposti seguendo il filo logico di funzioni che adesso non servono o non si usano più e che si sono perdute nell’avanzare della tecnica e dei motori. Un tempo erano invece il supporto della manualità che consentiva di sopravvivere.
Accadeva con l’erba che diventava fieno per gli animali nelle stalle presenti in ogni casa. “Guardando i vecchi attrezzi affiora il ricordo delle levatacce alle tre del mattino per sfalciare con le falci ‘battute’ sulla plàntola e affilate ritmicamente con una speciale pietra, la coti, anch’essa scavata in una cava della valle e lavorata a mano in una fabbrica lungo la Tresenga a valle tra Tuenno e Terres” – chiosa Wegher che si emoziona raccontando il percorso che faceva l’erba diventata fieno. Il trasporto sulle aie con carri trainati da mucche o muli con annessi e connessi: funi, forche, rastrelli, erpici, aratri, scale a pioli, lenzuola per il fieno, sacchi per le patate.
Il suo racconto conferisce all’ambiente un fascino particolare, quasi irreale, inimmaginabile per chi la civiltà contadina nonesa non ha mai conosciuto: la tritatura con il tagliafieno prima manuale poi a motore; l’alimentazione degli animali, la loro pulizia, la mungitura, la consegna del latte al caseificio turnario; l’asportazione del letame sulla busa da la grassa (letamaio), per poi finire nei prati a concimare la nuova erba.
Ma anche la cura delle gravidanze e dei parti in stalla, e ancora l’allevamento del maiale nello stalòt (recinto nell’angolo della stalla).
Dove adesso ci sono i rigogliosi e ricchi meleti, settant’anni fa c’erano vasti campi di frumento, di grano saraceno (formentòn), segale e avena. Il cereale veniva raccolto manualmente e trasportato sulle aie ove conosceva la battitura con il flér per separare i chicchi dalla pula. Poi diventò consuetudine l’arrivo in paese di una trebbiatrice meccanica. Il grano veniva portato al mulino idraulico di Albino Brentari, sul Rio S.Romedio per la macinazione. Qualcuno aveva in casa un piccolo mulino rudimentale azionato a mano, così evitava di lasciare un certa quantità di farina al mulino per il lavoro compiuto.
Oltre all’agricoltura tradizionale, antica di secoli e garante del minimo livello di sussistenza, nel piccolo museo c’è la ‘memoria’ della coltivazione della canapa e del lino, essenziali per confezionare indumenti e modesti corredi casalinghi. E sopratutto il richiamo alla gelsibachicoltura, risorsa integrativa dell’economia cerealicola con alcune davvero preziose testimonianze come i bozzoli fatti venire apposta dalla Lombardia per spiegare come nasce la seta dai ‘gomitoli’ pelosi che l’insetto nella sua trasformazione riesce ad aprire senza interrompere il filo che lo avvolgeva.
Accenni pure di viticoltura che fino ad un certo periodo storico e fino ad una certa quota fu un’attività assai diffusa in valle, fintantoché fu più conveniente approvvigionarsi di uva nella Piana Rotaliana, grazie alla presenza della ferrovia Trento – Malè ed alla disponibilità di mezzi di trasporto meccanici. L’esposizione riguarda praticamente tutta la gamma di oggetti tipici dell’attività contadina esercitata in valle negli ultimi secoli, fino all’avvento della moderna frutticoltura intensiva.
Non è tutto perché la vecchia casa contadina di Sanzeno, al piano superiore, racchiude un’altra storia e tanti racconti della quotidianità della vita di due secoli fa.
Ma di questo parleremo un’altra volta.