Ferdinando Gabardi, emigrante noneso assassinato in America
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Tra la fine del 1800 e gli inizi del ventesimo secolo molti trentino-tirolesi emigrarono – talvolta solo per brevi periodi – per lavorare nelle miniere degli Stati Uniti. Una vita difficile e dura che doveva confrontarsi non solo con le difficoltà della lingua e la fatica del lavoro ma anche contro i tanti pregiudizi che l’emigrante si portava appresso. Sono tante storie, molte a lieto fine di cui abbiamo dato spazio sul nostro mensile, altre meno ed altre ancora con un esito tragico. Come ha documentato padre Bonifacio Bolognani, ‘apostolo dell’’emigrazione trentina oltreoceano nel volume scritto in lingua inglese “A courageous people from the Dolomites: the immigrants from Trentino on U.S.A.” edito dalla Provincia di Trento nel 1981.
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L’emigrazione trentina nella zona mineraria del Colorado, dove si è svolta la vicenda che raccontiamo, fu massiccia. I lavoratori arrivarono dal Perginese, Pinetano e Val di Non. I primi giunsero a metà degli anni ’80 del 1800 con l’apertura delle miniere di carbone. Molti chiesero la cittadinanza americana e dopo gli incidenti causati dagli scioperi, si buttarono in agricoltura ottenendo dal governo degli appezzamenti di terreno, altri aprirono delle attività commerciali come saloon e ristoranti. Ma non per tutti andò bene, anzi ci furono vere tragedie come ci segnala il ricercatore e collezionista storico Luigi Covi di Seio, citando la sorte toccata a Ferdinando Gabardi di Salter ucciso in Colorado nel 1905. Una vicenda ripresa recentemente anche dal giornale on line “Der Tirol.com”.
La vicenda è registrata con dovizia di particolari nei registri della parrocchia di San Biagio a Salter. Il giorno 24 aprile 1905 il parroco dell’epoca annotava: “Ferdinando Gabardi fu Ferdinando e vivente Maria Gabardi fu assassinato nel Nord America. Aggredito a scopo di furto, dopo 24 ore di dolori atrocissimi mori nel giorno su indicato e fu sepolto cola”.
Di questo omicidio è rimasta la cronaca da “La Voce Cattolica” (*), giornale pubblicato a Trento con titolo “Un trentino vittima di un assassinio in America” riprendendo quanto riportato dai giornali americani sulla tragica vicenda di cui fu vittima un trentino a Walsenburg nel Colorato la sera del 22 aprile 1905.
Ecco come lo ha raccontato all’epoca un amico della vittima, pure lui trentino.
“Il mio migliore amico Ferdinando Gabardi del paese di Salter, Alta Valle di Non, il giorno 22 aprile si recò a Walsenburg in compagnia di un suo amico per far delle provviste e darsi un po’ di bel tempo. Passeggiarono un poco di qua, un poco di la, bevendo tranquillamente qualche bicchiere, assieme ad altri compagni unionisti. Venuta la sera, Gabardi e due suoi amici dettero la buona notte ai compagni e se ne andarono per recarsi a dormire.
Ad un tratto un uomo, uscito da una casa con la rivoltella in mano, si mise a seguirli per un cinquanta passi, quindi si slancio sul Gabardi e lo prese brutalmente per un braccio e senza dire parola gli tiro un colpo di rivoltella all’orecchio destro. Gabardi cadde fra le braccia dei suoi compagni. L’infame carnefice, che si seppe poi essere un poliziotto, non ancora sazio, tirò un altro colpo che ferì mortalmente il povero Gabardi al ventre. Il primo colpo trapassò la fronte e la fiamma della polvere brucio i capelli della vittima. L’assassino, compiuto l’atto feroce, scomparve. I compagni cominciarono a gridare aiuto, ma nessuno accorse. Pertanto il ferito aveva perduto ogni conoscenza e allora l’amico Giovanni Nardon cercò ogni mezzo per soccorrerlo; ma non eravi acqua, nulla…. Ed ecco giungere una schiera di manigoldi e il capo di essi dire a Arcangelo Marignoni, compagno del moribondo.
– Mi conosci? – Si, vi conosco, rispose Marignoni.
Allora il carnefice gli dà un colpo negli occhi e lo getta a terra e grida, I Dago1 sono a terra, spogliamoli!”
Tutta la banda si mise all’opera insieme. Si sa da fonte autentica che il povero Gabardi aveva dollari 130 e un orologio del valore di dollari 20 e tutto sparì nelle tasche dei ladri i quali a calci e pugni trascinarono il moribondo in prigione. Pensate come stesse lo sventurato con due ferite di rivoltella calibro 44!
I compagni della vittima, Arcangelo Marignoni e Giovanni Nardon, furono condotti in prigione e dalla gabbia di ferro dove furono posti udivano lo sventurato Gabardi gridare e invocare pietà. Tutto inutile. I carnefici seguitarono nell’opera infame e il 23 aprile alle ore 12. e 15, dopo 25 ore di martirio, il Gabardi spirava senza aver potuto vedere un volto amico.
Alle 7 p.m. del 23 aprile, Enrico Mattirolli ottenne il permesso di vedere il moribondo che lo riconobbe e gli disse: “Fra poche ore devo morire, per me no’ vi è pie nulla, ma prima di morire vorrei parlare con il mio amico Ermanno Rufini poi morirò contento”. Poi scrisse sopra un pezzo carta il suo nome e quello del compagno. Fu subito telefonato a Rufini: ma il messaggio giunse troppo tardi e quando il Rufini arrivò trovò l’amico freddo cadavere.
“Il defunto lascia nel più profondo dolore i cari amici Ermanno Rufini, Arcangelo Marignoni, Giovanni Nardon e nel vecchio Mondo la desolata madre, due fratelli e due sorelle”.
La causa di questi fattacci eccessivi della polizia americana è perché i suddetti sono unionisti2 appartenenti cioè alla Federazione operaia americana che lotta continuamente contro le Società minerarie, dando luogo a continui conflitti che esasperano la polizia. Quanto e successo al povero Ferdinando Gabardi è un’eco di tali lotte.
(*) La Voce Cattolica, fondata a Trento nel 1865, era un giornale edito dalla Diocesi tridentina. Usciva tre giorni alla settimana fino al novembre 1902 quando divenne quotidiano. Alcide De Gasperi ne diviene direttore il primo settembre del 1905, a soli 24 anni, succedendo a don Guido de Gentili, che aveva ricoperto il ruolo dal 1897.
1) Il termine Dago (pronuncia [dey-goh]), a volte italianizzato in Dègo o Dego, è uno degli epiteti spregiativi tra i più utilizzati negli Stati Uniti e nel Canada per indicare una persona di origini latina, soprattutto italiana, spagnola o portoghese.
2) Unionisti, termine che identificava gli iscritti al sindacato unitario dei minatori, organizzazione che si batteva per ottenere per i lavoratori condizioni di lavoro più dignitose e per questo invisa ai proprietari delle miniere.