Polenta e baccalà, che bontà!
“Chiedo venia ai miei 25 lettori di manzoniana memoria se per parlare di polenta e baccalà cito il ritornello di una famosa canzoncina popolare: “La Mula de Parenzo”. Città istriana, l’antica Parentium, oggi Porec, sede di una delle più antiche scuole enologiche dell’impero (fu fondata nel 1875, un anno dopo l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige). Città a me cara per molti motivi: per l’affetto nei confronti della Comunità degli Italiani, per il ricordo del compianto scrittore croato Drago Orlic, per l’amicizia pluridecennale con molti vignaioli e ristoratori e, non ultimo, per il privilegio della cittadinanza onoraria conferitami nel Duemila dall’amministrazione comunale”.
Ma veniamo al ritornello della simpatica canzoncina: “Se el mare fusse de tocio e i monti de polenta, ohi mama che tociade… polenta e baccalà”. Ritornello che nelle mie frequenti trasferte enogastronomiche in Istria l’amico cantautore Sergio Pavat non manca mai di ripropormi, con la sua chitarra, davanti ad un piatto fumante di polenta e baccalà. Una bontà, come ho suggerito nel titolo.
Quel mitico “pesce bastone” delle Lofoten
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, sgombriamo subito il campo dagli equivoci. Per baccalà nelle Tre Venezie e nelle regioni confinanti (Istria e Quarnaro) si intende lo stoccafisso, il mitico “stockfish”, il pesce bastone dell’arciprelago norvegese delle isole Lofoten, essicato su enormi rastrelliere come usavano i Vichinghi. Per baccalà si intende, invece quello salato.
Nei giorni scorsi, in occasione dell’arrivo a Sandrigo delle prime casse di stoccafisso, conversando con l’accademico vicentino Otello Fabris, ci siamo chiesti a quale epoca potrebbe risalire il “peccaminoso” matrimonio polenta e baccalà. C’è chi fa risalire la data alla seconda metà del Cinquecento, ma più verosimile è che la farina di mais e la polenta come la conosciamo oggi (non la primordiale “puls” dei Romani) abbiano fatto il loro ingresso in cucina solo nell’Ottocento.
La diffusione del baccalà in Italia
Due sono gli eventi storici che hanno favorito la diffusione del baccalà nel nostro Paese. Il primo è legato ad un drammatico naufragio che ha visto coinvolto un mercante veneziano, Pietro Querini, che nel 1431, partito dall’isola di Candia (Creta) e diretto nelle Fiandre con un carico di spezie, cotone, barili di Malvasia e altre mercanzie, nel mare in tempesta finì sugli scogli di un isolotto delle Lofoten. Salvato assieme ai pochi marinai superstiti, rifocillato e ospitato dai pescatori del luogo, ripartì qualche mese dopo con un carico prezioso di stoccafissi. L’altro evento storico è il Concilio Tridentino della Controriforma (1545-1563) che impose il rigoroso rispetto del digiuno e dell’astinenza il venerdì di magro, nei giorni di vigilia e durante il periodo quaresimale.
Da allora il baccalà o stoccafisso che dir si voglia ne ha fatta di strada al punto che, dopo essere stato per secoli il piatto dei poveri, oggi è diventato una leccornìa da ricchi visti i costi proibitivi del famoso “Ragno”, la qualità più pregiata di stoccafisso tutelata dal Consorzio delle isole Lofoten.
La ricetta del baccalà alla vicentina
Parliamo ora di ricette. Ci limitiamo a quelle più famose che fanno parte ormai dei piatti tipici della nostra tradizione. Cominciamo dalla gettonatissima ricetta del baccalà alla vicentina. La ricetta originale, codificata dalla Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina presieduta dalla prof. Tiziana Agostini, prevede “tranci di stoccafisso ammollato, cipolle, latte, acciughe, olio extravergine d’oliva, una spolverata di formaggio grana, un ciuffetto di prezzemolo sbriciolato, ma soprattutto una lenta cottura (dalle 4 alle 5 ore)”. I vicentini usano questo termine che rende bene l’idea: il baccalà deve “pipare”, ovvero cuocere a fuoco lento.
Lo stofìss dei frati roveretani
Altra ricetta famosissima è quella dello stofìss dei frati, tutelata in Trentino dalla Confraternita roveretana presieduta dall’istrionico priore Maurizio Zanghielli e dal vulcanico Andrea Vergari. In tutti i conventi del Trentino, fino a qualche anno fa (ne cito alcuni, Trento, Rovereto, Arco, Mezzolombardo, Terzolas), i frati oltre a rispettare i giorni di magro, offrivano alla mensa dei poveri polenta e baccalà.
Ecco la ricetta codificata dalla Confraternita roveretana: “stoccafisso ammollato, latte, patate, acciughe, cipolle, sedano rapa, alloro, prezzemolo, olio extravergine d’oliva, Trentingrana”. Durante ogni incontro conviviale non manca mai il siparietto con benedizione «urbi et orbi» del giullare della Confraternita: «Orate fratres. Buon baccalà a tutti».
A proposito di Rovereto, va ricordato che per secoli lo stoccafisso arrivava da Bergen (Norvegia) a Venezia attraverso i fiumi Reno e Adige. E la dogana fluviale di Borgo Sacco ha sempre avuto un’importanza cruciale per le merci che da lì transitavano.
Lo stocco delle Marche
Appassionante, in tema di ricette, è il derby regionale tra gli stoccafissi delle Accademie marchigiane: “lo stocco alla Fermana, lo stocco all’Elpidiense, lo stoccafisso di Ripatransone, lo stocco all’Anconetana”. Legata al territorio è la ricetta dello stocco alla Fermana: “stoccafisso, patate rosse di Colfiorito, alici sotto sale, capperi, latte, vino bianco, olive verdi snocciolate, carote, coste di sedano, pomodoro pelati, sale, pepe e peperoncino”.
L’Accademia dello stoccafisso all’Anconetana risponde con la storica ricetta del pluripremiato Ristorante “Gino” di Ancona: “stoccafisso, acciughe, sedano verde, cipolla, carote, rosmarino, capperi, vino bianco Verdicchio, peperoncino, olive nere, pomodori maturi a grappolo, patate, olio extravergine d’oliva, sale”.
Peccaminoso lo stoccafisso in salsa «ripana» presentato dalla brigata di cucina del Museo della Civiltà contadina di Ripatransone (Ascoli Piceno), piatto che secondo un’antica tradizione viene offerto ai fedeli il 17 gennaio in occasione della Festa di Sant’Antonio Abate. Ingredienti: “cipolla, carota, sedano, prezzemolo, maggiorana, salvia, finocchio selvatico, timo. Non meno stuzzicante lo stocco alla Elpidiense: stoccafisso, patate, olive, alici, capperi, pomodori ciliegino, passata di pomodoro, olio extravergine d’oliva, sale”.
E allora, con gli amici fraticelli roveretani, ripetiamo: buon baccalà a tutti!