Ma forse non era una mela… Il frutto del peccato originale (*)

Ma forse non era una mela… Il frutto del peccato originale (*)

L’agricoltura delle nostre valli è in buona parte legata alla coltivazione delle mele. Una frutticoltura rispettosa dell’ambiente e dei consumatori costituisce il traguardo cui tendono i tecnici ed i contadini, traditi purtroppo qualche volta dal tempo e dal mercato che si fa sempre più globale.

Ci si può limitare ai dati squisitamente specialistici sull’argomento: terreni adatti, trattamenti, concimi, anticrittogamici, magazzini, marchi, varietà, assicurazioni antigrandine… Ma per farlo bisogna essere tecnici provetti.

Per questa volta, mi sia permesso dunque di intraprendere solo un viaggio storico e spirituale nel mondo delle mele; ed il percorso parte quasi di necessità dalle pagine della Bibbia.

“Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiarsi, seducente per gli occhi e attraente per avere successo: perciò prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò” (Genesi 3,6).

Con tali parole la Bibbia racconta il “peccato originale” di Adamo ed Eva ai primordi dell’umanità.

Gli esegeti si sono scervellati da sempre a cercare di che albero e di quale frutto si trattasse: fatica inutile, perché l’albero “della conoscenza del bene e del male” non appartiene a nessuna specie botanica. Probabilmente è una pianta simbolica, posta in un giardino – od in un’oasi – non localizzabile, ma che adombra il mondo in perfetta armonia con l’uomo.

Fu questo il progetto che Dio tenne presente nel creare l’universo e l’umanità. Da quel giardino alberato si diramavano i quattro fiumi che definiscono tutto il mondo nella sua bellezza e fecondità. Compito dell’uomo, nel disegno di Dio, era quello di custodire il creato, riconoscendo in esso l’opera del Creatore.

Dopo il peccato, Adamo ed Eva sono cacciati dall’Eden. Nel decreto di condanna, Dio dice: “L’uomo e diventato come uno di noi, conoscendo il bene e il male! Ora facciamo sì che egli non stenda la sua mano e non prenda anche l’albero della vita così che ne mangi e viva in eterno” (Genesi 3,22).

Viene qui introdotto un secondo albero, che la narrazione biblica situa “nella parte più interna del giardino” e che fa coppia con l’albero della conoscenza del bene e del male. Piante che nascondono un significato misterioso: forse una indicava la condizione di immortalità dell’uomo primordiale, l’altra il complesso di tutte le conoscenze, di cui solo Dio e il padrone, e che all’uomo sono date come di riflesso, senza che se ne possa appropriare completamente.

Nella tradizione cristiana il frutto proibito era senz’altro la mela. Ciò si collega all’assonanza fra il termine latino che chiama il frutto del melo, e la voce latina che con indica anche il male. “Malum” ha dunque due sensi: vuol dire mela, ma insieme pure cotogna, pesca, arancia, limone e – con l’aggiunta di granatum, o punicum – anche melagrana; però significa contemporaneamente sofferenza, malattia, dolore, febbre, difetto, punizione, pena, torture, fatica, castigo. Tutti termini, questi ultimi, che sono ben adatti a descrivere la condizione umana dopo la perdita del paradiso terrestre.

Avendo disobbedito a Dio, Adamo ed Eva andarono incontro alle tremende conseguenze del peccato, che toglieva loro l’immortalità ed apriva il vaso di Pandora di tutti i mali per i loro discendenti.

Pur non escludendo il significato di mela per il frutto mangiato dai progenitori, la tradizione ebraica preferisce pensare che si trattasse di un fico maturo. Ciò dipende anche dal seguito del racconto biblico: “Si aprirono allora gli occhi di ambedue e scoprirono di essere nudi; perciò cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture” (Genesi 3,7).

La relativa ampiezza di quelle foglie può giustificare il loro uso per farne un perizoma: misero e precario, in verità, se Dio stesso, provando compassione per quei due esseri implumi, “fece all’uomo e a sua moglie delle tuniche di pelle e li copri” (Genesi 3,21).

Racconta un mito ebraico: “Dopo che Adamo ebbe mangiato dell’albero di fico e si vide nudo, andò da tutti gli alberi e li pregò che gli dessero delle foglie per coprire la sua vergogna. Ma ogni albero gli disse: ‘Via di qua, tu che non hai osservato il comando del Signore e hai mangiato dei frutti che egli ti ha vietato’. Solo un albero fu disposto a dargli qualcuna delle sue foglie – l’albero di fico – di cui egli aveva mangiato i frutti, ragion per cui era stato punito… Quando Dio vide che Adamo, con le sue foglie di fico, era vestito a malapena, tirò via la pelle del serpente che aveva procurato la caduta nel peccato e ne fece un abito per Adamo. Quel vestito avrebbe dovuto ricordargli per sempre la sua colpa”.

Altre tradizioni ebraiche dicono che l’albero della conoscenza del bene e del male era un’immensa spiga, più alta di una conifera, o una vite, o un cedro, i cui frutti si usano nella festa dei tabernacoli. Enoch sostiene che si trattava di una palma di datteri. La preferenza tuttavia è data sempre al fico, il cui albero dai frutti

dolcissimi ai tempi della Bibbia indicava pace e prosperità (“Giuda e Israele erano al sicuro: ognuno stava sotto la propria vite e sotto il proprio fico, da Dan fino a Bersabea, per tutta la vita di Salomone”, 1 Re 5,5).

Si aggiunga che la mela, nell’antico Oriente, era sconosciuta: la Bibbia ne parla solo tre volte, in testi piuttosto tardi (nel Cantico dei Cantici e nel profeta Gioele 1).

Viceversa, in Occidente le mele sono note già in epoca neolitica. Ne parlano molto i miti greci: famoso quello del “pomo della discordia” che provocò la guerra di Troia.

Ad Atene gli sposi novelli, nell’accedere alla stanza nuziale, dividevano e mangiavano assieme una mela. Inviare o lanciare una mela equivaleva ad una dichiarazione d’amore.

Nelle leggende nordiche, mangiando le mele custodite dalla dea Iduna si otteneva eterna giovinezza.

Secondo la religione celtica, la mela era simbolo del sapere tramandato alle generazioni più giovani. Anche le mele che si pongono – sotto forma di palline colorate – sull’albero di Natale sono un augurio di ritorno al paradiso terrestre, reso possibile dalla nascita di Cristo.

In raffigurazioni barocche cristiane la morte, rappresentata come uno scheletro, spesso tiene in mano una mela: il prezzo del peccato originale la morte.

Nella mitologia classica la mela e il segno della gioia d’amore e della primavera; un lasciapassare per i Campi Elisi, i “giardini della mele”, in cui solo alle anime dei grandi eroi e concesso di entrare.

(*) Da “Storia e storie nelle Valli del Noce” ed. 2002 L’albero della conoscenza di Lucas Carnach, il vecchio

Don Fortunato Turrini

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