La scuola primaria fra le due guerre

La scuola primaria fra le due guerre

Nel novembre del 1918, alla fine della Prima guerra mondiale, il Trento/Alto Adige (allora denominato Venezia Tridentina) passò dall’Austria all’Italia portandosi appresso tutto un complesso burocratico da impostare o da rinnovare.

Fra i vari impegni, il più articolato e urgente era la riorganizzazione della scuola elementare.

La situazione era complicatissima; molti edifici erano stati distrutti o requisiti; molte aule, usate come dormitori dei soldati, si trovavano in condizioni molto precarie. Era necessario, inoltre, ricomporre e aggiornare il nuovo corpo docente e predisporre i nuovi programmi scolastici.

E tutto questo doveva essere fatto con urgenza cercando, fra l’altro, di non urtare la suscettibilità della popolazione che mal aveva digerito il cambio di nazionalità.

Nonostante questi problemi, data la premura, le scuole elementari vennero riaperte ancora nello stesso mese di novembre, poco dopo l’entrata delle truppe italiane in Trento. Furono mantenuti l’orario settimanale, il calendario scolastico e i programmi della scuola austriaca. Cambiò solamente lo studio della storia e della geografia. Rimaneva ancora l’obbligo della frequenza fino a quattordici anni mentre nel resto d’Italia si fermava a dodici.

Altre due grosse novità introdotte furono l’immediata cessazione dell’obbligo dell’insegnamento religioso (lasciato come facoltativo) e la soppressione del “nubilato obbligatorio” per le maestre.

Questa fase transitoria terminò nel 1923 con l’avvento del “Fascismo” e la riforma Gentile.

Come per gli altri regimi totalitari anche per il governo d’allora la scuola funse da strumento particolarmente idoneo per inculcare nelle giovani generazioni la propria ideologia.

Infatti, ancora nel 1930, in tutte le scuole del Regno fu introdotto un testo unico nel quale erano riportate in bella evidenza tutte le informazioni che il regime intendeva trasfondere negli alunni.

Con i nuovi programmi tornò obbligatorio anche l’insegnamento della religione cattolica. In quel periodo, inoltre, fu introdotta una nuova materia chiamata cultura militare.

Essa dava molta importanza all’educazione fisica mirante, come scopo precipuo, alla preparazione di una gioventù forte, disciplinata pronta alla guerra.

Tutte le scuole italiane dovevano sottostare ai dettami di Roma.

In ogni classe era previsto il Crocefisso posto tra i ritratti del Re e del Duce e una bandiera italiana da esporre durante le occasioni importanti.

C’erano poi dei cartelloni didascalici, delle carte geografiche, dei ritratti di uomini illustri, un pallottoliere, una lavagna di ardesia, una cattedra e un armadio.

Durante la guerra in Africa veniva appesa al muro una cartina geografica sulla quale erano appuntati degli spilli indicanti l’avanzata delle truppe italiane nelle terre d’Oltremare.

Un decreto del Duce, nell’anno 1934 stabilì, inoltre, che ogni plesso fosse dotato di una radio (Radiorurale e poi Radio Balilla) per poter ascoltare i suoi proclami. La disciplina nelle scuole elementari dell’epoca fascista era abbastanza rigida. Gli sbagli erano castigati severamente usando anche delle punizioni corporali.

La scuola iniziava il primo ottobre e finiva dopo la metà di giugno. L’orario settimanale, dal lunedì al sabato compreso, era diviso in tre ore al mattino (8-11) e due al pomeriggio (13-15). Il giovedì era giorno di vacanza. L’inizio delle lezioni era segnalato dal sagrestano con il suono di una campana (allora pochi genitori avevano l’orologio al polso).

La mattina, prima di recarsi in classe, gli scolari dovevano assistere alla santa Messa. Gli alunni erano sempre distinti e separati per sesso. Le bambine indossavano un grembiulino nero con un fiocco o con un collettino bianco. Le aule in genere erano molto spaziose e venivano riscaldate con dei fornelli in terracotta. I banchi erano angusti con uno schienale disposto ad angolo retto. Potevano ospitare più alunni. Da alcune residue chiazze di colore si desumeva che una volta, molti anni prima, erano stati verniciati di nero. Ora, però, portavano i segni lasciati da generazioni di temperini.

In cima al piano del leggio c’erano due fori per i calamai in vetro e una leggera scanalatura per posare la penna e la matita. Le lezioni iniziavano e finivano con la preghiera collettiva da recitare in piedi a mani giunte. Prima dell’inizio delle lezioni la maestra passava tra i banchi per controllare la pulizia del corpo con particolare riguardo alle mani, alle unghie e agli orecchi.

Terminata questa operazione, l’insegnante intonava un canto di rito come “Giovinezza” oppure come “Sole che sorgi”.

Seguiva poi l’appello nominale. Il bambino chiamato doveva scattare in piedi e dire a voce alta “Presente”.

Si scriveva con una cannuccia munita di pennino.

Le penne stilografiche erano vietate e quella inventata da László Biro “con l’inchiostro che non macchia e non si asciuga” era ancora da venire.

Non erano obbligatorie le matite colorate, però le possedevano quasi tutti. C’erano quelle lunghe (per i figli dei benestanti) e quelle corte (per i figli dei contadini). Generalmente erano di marca “Giotto”.

Le matite invece portavano quasi sempre il marchio “Presbitero”.

Il portapenne consisteva in una scatola in legno contenente l’asticciola, una matita, una gomma, un temperamatite e alcuni pennini.

C’erano vari quaderni distinti per i compiti a casa e per quelli in classe, quelli a righe e quelli a quadretti e, dalla seconda classe in poi, anche quello di “bella scrittura”. Ogni quaderno era corredato da un foglio di carta assorbente.

E a proposito di quanto detto più sopra occorre ricordare che il Fascismo, per inculcare la propria ideologia, in diverse occasioni forniva gratuitamente dei quaderni con le copertine riportanti dei fatti inerenti alla guerra in Africa o allo sviluppo delle grandi opere realizzate dal Governo.

Nei primi due anni gli alunni avevano solamente il libro di lettura, mentre nei successivi era previsto pure l’uso del sussidiario con i testi uguali per tutta l’Italia.

Per il fabbisogno scolastico gli alunni non avevano uno zainetto ma una saccoccia di stoffa portata a tracolla, preparata generalmente dalla mamma o dalla nonna. I figli provenienti da famiglie benestanti possedevano invece una cartella in “fibra”.

La pagella era divisa in tre trimestri e i voti andavano fino al dieci.

Il percorso scolastico della durata di otto anni era diviso in due cicli. L’iniziale comprendeva la prima e seconda classe, mentre l’altro includeva la terza, quarta e quinta. Il passaggio da un ciclo all’altro prevedeva un esame interno.

Durante il periodo fascista all’insegnante ci si rivolgeva dandogli del Voi; era assolutamente vietato l’uso del Tu o del Lei.

Va pure ricordato che nel 1926 fu creata una nuova istituzione parascolastica denominata Opera Nazionale Balilla (ONB) per dare ai giovani un’educazione sportiva e premilitare.

Durante il periodo fascista il sabato pomeriggio la scuola rimaneva chiusa e i giovani dovevano obbligatoriamente presentarsi in un luogo prestabilito per svolgere attività fisica e per addestrarsi fisicamente alla vita militare.

Alla fine dei corsi, sulla piazza principale del paese, si teneva un saggio ginnico alla presenza delle autorità politiche e amministrative.

Piero Turri

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