Il capponi di Renzo e l’Europa

Il capponi di Renzo e l’Europa
Ossana: castel san Michele (Foto di Sergio Zanotti)

Tra un mese si vota per l’elezione del Parlamento europeo e quindi scegliere chi guiderà il vecchio Continente nel prossimo futuro incamminandosi verso questa o quella direzione.

L’Unione, ora a 27 membri, arriva all’appuntamento dell’8 e 9 giugno senza una visione condivisa di futuro, e i ‘distinguo’ e ‘aspirazioni’ degli Stati che la compongono non fanno nemmeno lontanamente intravvedere la possibilità che l’UE possa diventare quegli Stati Uniti d’Europa che era nei piani dei Padri fondatori Degasperi, Schumann ed Adenauer quando erano ancora fumanti le rovine della seconda guerra mondiale.

Seguendo il dibattito e le risposte che l’UE riesce faticosamente mettere in campo davanti alle grandi crisi in corso in alcune zone ‘calde’ del mondo come la Terra Santa o sull’uscio di casa come l’Ucraina, mi vengono in mente i “capponi di Renzo” raccontati da Alessandro Manzoni nel terzo capitolo de “I Promessi sposi”.

Pur trovandosi in una condizione disperata perché destinati a finire nella pentola dell’Azzeccarbugli, i capponi “…. intanto s’ingegnavano a beccarsi l’un con l’altro, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”

Questo racconto secondo me sembra ben rappresentare l’attuale status dell’Europa che non riesce quasi mai a trovare, nelle crisi globali che si stanno susseguendo nel mondo, un linguaggio ed una reazione unitaria e condivisa.

Facendo così perdere all’Europa anche la più piccola chance di essere protagonista, con la sua storia, la sua esperienza ed i suoi valori, sullo scacchiere internazionale dove ormai contano davvero solo le due o tre superpotenze rimase in campo.

Se l’Europa non vuole diventare il mesto relitto del suo glorioso passato ma intende sul serio imbarcarsi in un cambiamento radicale per rimettersi in piedi, deve dotarsi degli strumenti adeguati.

In campagna elettorale riemerge ogni tanto la questione della difesa comune europea e di un esercito dell’Unione, ma quando si tratta di entrare in merito la questione evapora nell’indefinito perché ogni Paese gestisce in proprio la sua forza armata e non accetta interferenze.

Auspicare un esercito unitario d’Europa non vuol dire esser contro la pace o essere inclini a cercare conflitti ma semplicemente dar forza alle idee di pace, pace che il Vecchio Continente sta assaporando da settant’anni dopo aver subito due conflitti mondiali sul proprio territorio nella prima metà del secolo scorso.

Si vis pacem para bellum, (se vuoi la pace prepara la guerra) dicevano gli antichi e questo modo di ragionare nel corso della storia non mi pare sia stato superato dall’uomo e dalle sue conquiste nella tecnologia, nell’arte, nei diritti e nei doveri.

Con l’aggravante che oggi neppure lo spettro dell’arma nucleare e il cosiddetto ‘equilibrio della paura’ riescono più a svolgere quella funzione di deterrenza che ha garantito la pace negli anni della guerra fredda, ed anche dopo.

Altro punto, la regola dell’unanimità imposta per le decisioni importanti dell’Unione Europea. Una delle conquiste più preziose della convivenza civile è la democrazia che dai tempi delle città stato greche tra alti e bassi si è via via sviluppata basandosi sul principio della maggioranza.

Che l’Europa, e il suo indirizzo di fondo, sia fondamentale per la vita di tutti i giorni anche nelle nostre valli lo si vede plasticamente nella vicenda orso e lupo, rapporto che se non governato diversamente dal recente passato rischia di travolgere secoli di convivenza della gente di montagna con il ‘suo’ bosco.

Giacomo Eccher