Val di Non ad ogni paese il suo soprannome
La vecchia faccia goliardica della Valle di Non
Alcuni mesi fa “il Melo” ha pubblicato un elenco con i nomi degli oltre ottanta agglomerati urbani, grandi, piccoli e piccolissimi, disseminati nella valle di Non chiedendo ai lettori di indicare, per ognuno, il soprannome.
Risposte ne sono arrivate a decine sia alla redazione de “il Melo” sia al sito on-line del mensile che sui social aveva rilanciato la proposta incontrando grande interesse.
Ora è tempo di trarre le conclusioni di questa iniziativa in base alle segnalazioni che ci sono pervenute e pubblichiamo quella che secondo noi ed i nostri lettori è la tabella aggiornata dei soprannomi dei paesi e delle frazioni, oltre ottanta, della nostra valle.
Si tratta di un patrimonio tradizionale che sopravvive ormai solo tra gli anziani, ma che a quanto pare, come ci dimostrano i social, sta incontrando interesse pure tra i giovani nel solco di quel sano ‘spirito di campanile’ che fino a non molti decenni fa contraddistingueva tra goliardia, sfottò e memorie i rapporti tra le numerose comunità nonese.
Un interesse che va di pari passo con il proliferare di contributi, commenti, citazioni e rimele in noneso ladino che stanno via via popolando in abbondanza i più diffusi social network (faceboock, Istagram, ecc.) certificando nei fatti l’attualità della lingua della nostra valle che pure vanta una grande tradizione letteraria, nemmeno paragonabile, per ampiezza, valore e contenuti ad altre vallate trentine.
Per ogni paese (o frazione) indichiamo il nome ufficiale, quello in nones (quando è diverso) e il soprannome (o soprannomi, perché in alcuni casi ce ne sono stati segnalati più d’uno).
E quanto all’ordine, l’elenco una volta tanto parte dall’alto, (Ruffré Mendola e Cavareno) per discendere le due sponde dell’Anaunia fino a Ton, Rocchetta, Paganella e Rotaliana.
Sono soprannomi che in alcuni casi fanno riferimento ad animali (orsi, giati, manzi, groi, asni, ciagni, beci, sorsi, ecc.), in altri a professioni (‘leciabuse’ a Sfruz con riferimento all’atteggiamento di chi era costretto a scavare a terra per estrarre la preziosa argilla per le stufe che hanno reso celebre il paese noneso in mezza Europa e ‘scandolari’ a Cles con riferimento alle stoviglie in terracotta che gli antenati dei clesiani odierni vendevano porta porta); altri ancora fantasiosi come gli Scolobiadi, i Dopli, Pitoci, Pepe, Ciazoti, ecc.), altri ancora c per ricordare vicende passate vere o leggendarie (Brusasanti a Sanzeno, Forcoloti e Brusacristi rispettivamente a Mezzolombardo e Mezzocorona). Una fantasia che davvero non aveva limiti e che nelle dispute di paese non mancava mai di affiorare quando c’era da discutere qualcosa o semplicemente prendere in giro l’abitante del centro vicino. Attorno a questi nomi sono nate filastrocche, modi di dire, ironie e rimèle che ancora oggi fanno sorridere. Ne diamo a margine alcuni esempi.
Filastrocche
A Fon gié bele pute,
a Brec a mò pu bele,
a d’Ars le cima le stele,
a Clouz le va ‘n ciarozza,
a Romal alla pitociua,
a Rvòu le dis la corona,
a Ciagnòu le la menzona.
Dovena l’è su la sàssa:
beati chi la lassà e mati chi che sen pàza.
Nanini sasìni beciàri da Nan.
Chei da Cis i è ben daben
come i botacini da Lauregn.
Groi, groi da Rvou
i è nadi su ‘n ten fòu,
i è nadi giò ‘nta Noéla,
è nu ‘l diaol co la padela,
el li ha seradi ent un armarot,
el li ha magnadi en becon al bot.
Portolani magna ciagni, magna peti ‘n tei saceti.
* Per chi non capisce il nònes, il testamento in pratica attribuisce a quelli di Vigo, Toss e Dardine alcuni beni terreni i beni ma il provento, se si sarà, andrà portato tutto in autunno, a castel Thun il cui castellano di turno, nella filastrocca che segue è definito ‘marden’ alias una faina o martora pigliatutto. Da qui il detto “Vic, Tos e Darden, tut en bocia al marden, e se ‘n vanza calche bon bòcon, tut en bocia a Castel Ton”.