Il tesoro di Tavon
Tavon, a poca distanza da Coredo in Val di Non, è un paesino addossato alla sua chiesa come una nidiata di pulcini attorno alla chioccia. L’insediamento è vecchissimo: un cippo funerario trovato sul luogo porta una scritta in etrusco.
La cappella di Tavon ha un’età veneranda, sebbene sia stata più volte rimaneggiata. Viene nominata già nel 1344 e da sempre è dedicata ai santi Zenone e Sisto. Intorno al 1650 diventò primissaria: don Ilario Gallo di Segno fu il primo che vi officiò stabilmente. Successive donazioni consentirono la residenza d’un sacerdote, fin quando, sul terminare del 1700, la chiesa divenne curazia.
Dal 1687 Tavon – perduta la memoria di S. Zenone – ebbe come patrono principale S. Sisto, per il quale il pittore-scultore Pietro Strudl di Cles (morto a Vienna alla corte dell’imperatore Leopoldo II ai primi del XVIII secolo) intagliò e dorò l’ancona lignea dell’altar maggiore.
Il villaggio, diviso nei due gruppi di case del Dos e del Mas, ben dentro nella Diocesi di Trento, fu per secoli sotto giurisdizione tirolese, in dipendenza da Castelfondo. Dal 1759 viveva a Tavon come primissario don Giangasparo Ziller nativo di Sanzeno. Nel 1772 un contadino del paese, che aveva lavorato un appezzamento preso in affitto presso i conti Thunn, cominciò a raccontare una strana storia. Curando la campagna, narrava Bartolomeo Vincenzo Stancher ai suoi stupefatti uditori, aveva trovato sotto terra un bel gruzzolo di monete d’oro antiche: per la precisione, esse pesavano 124 libbre (oggi sarebbero circa 46 chili d’oro, per un valore attuale di quasi 900 milioni di lire “poco meno di mezzo milione di euro di oggi”, lasciando da parte il pregio numismatico. Non sapendo con chi confidarsi, aggiungeva l’astuto contadino, aveva parlato con il primissario don Ziller, che si era offerto di acquistare lui il tesoro. Naturalmente lo Stancher si era inventato tutto, per rientrare nelle grazie dei conti suoi padroni, dai quali era stato licenziato per scarso rendimento e per essersi caricato di debiti.
La legge austriaca, in vigore nelle giurisdizioni tirolesi, stabiliva che un terzo di ogni valore scoperto in una campagna toccava al proprietario del fondo. I conti Thunn, abbagliati dal luccichio dell’oro in questione, credendo a quanto raccontava lo Stancher, intentarono processo contro il povero don Ziller, affidandosi all’arte del dott. Gervasi, giudice in Brentonico, uomo totalmente asservito ai signorotti.
Il contadino depose sotto giuramento che aveva venduto a don Giangasparo le monete per 2000 fiorini, ma che fino allora ne aveva ricevuto solo 200 in acconto. L’accusatore fu creduto e il prete finì in carcere a Rovereto il 2 gennaio 1773.
Durante la fase istruttoria i giudici misero assieme false testimonianze, indizi, supposizioni arrivando a concludere che il sacerdote era colpevole dell’occultamento del tesoro e quindi da condannare a termini di legge.
Saputo il fatto, il Principe Vescovo Cristoforo Sizzo del Noris (che nel 1774 avrebbe accettato le norme teresiane sulla scuola obbligatoria e gratuita anche in Trentino) prese immediatamente le difese di Don Ziller e lo affidò al suo consigliere aulico Francesco Vigilio Barbacovi, un luminare nella giurisprudenza di allora nativo di Taio. Si tratta dello stesso Barbacovi che anni dopo scrisse il nuovo Codice Giudiziario, promulgato nel 1788 dal Principe Vescovo di Trento Pietro Vigilio Thunn.
Ecco come il noto cancelliere vescovile racconta i fatti: “Sotto il governo di Cristoforo Sizzo avvnne pure il processo contro il Sacerdote Don Gasparo Ziller, ch’era accusato di tener presso di sè a danno del Regio Fisco e de’ Conti de Thunn un tesoro d’antiche monete d’oro… e che veniva per ciò ritenuto in istretta prigione nel Castello di Roveredo essendo il sacerdote suddito austriaco. Avendo l’Imperial Regia Corte prima che dà suoi tribunali si proferisse alcuna sentenza ordinato, che il processo fosse spedito alla Curia vescovile di Trento, perché da questa si pronunciasse il suo Voto, ed essendosi dato a me l’incarico dell’esame, e del rapporto di questo processo, io conobbi bentosto, che il preteso tesoro altro non era che una favola e una indegna impostura… Ma la luce della verità che risplendea nel Voto, non isfolgorò punto, qualunque ne fosse la cagione, ai loro occhi (Nota: dei giudici di Innsbruck), ed essi condannarono l’innocente sacerdote come reo convinto… Essendo poi stata portata la causa innanzi al trono di Sua Maestà l’Imperatrice Regina Maria Teresa, Cristoforo Sizzo… mi comandò di stendere in suo nome una energica lettera a Sua Maestà, che io composi pure, ed in cui dicevasi alla medesima, ch’egli non implorava già la sua pietà o clemenza ma solo la sua giustizia a favore d’un ministro del sacro altare divenuto vittima d’un infame calunnia, e che queste erano le voci d’un Vescovo, che le scriveva dal letto della morte… L’innocenza ottenne poscia dall’immortale Maria Teresa il più compiuto e memorabil trionfo, ma Cristoforo Sizzo allora era già passato all’altra vita”.
Il Principe Vescovo infatti morì nel marzo del 1776, un anno prima della conclusione del processo. Dopo dispendiosi ricorsi, anzitutto alla Reggenza di Innsbruck – che aveva dichiarato Don Ziller “reo quasi del tutto convinto d’essersi appropriato e di tenere il tesoro” e come tale l’aveva condannato al carcere perpetuo – e quindi al Supremo Tribunale di Giustizia, finalmente il sacerdote, in catene da più di quattro anni, fu dichiarato “pienissimamente innocente”.
Si ordinò che venisse subito liberato dalla prigione roveretana e che all’atto del rilascio gli fossero dati 300 zecchini dall’Erario di Sua Maestà “e che venga prontamente restituito tutto il denaro, mobili e ogni altra cosa tolta sotto qualunque titolo in occasione del suo ingiusto processo”.
II dott. Gervasi, colpevole di evidenti irregolarità, fu dichiarato sospeso per sempre dagli uffici giudiziari e affidato come suddito trentino alla giustizia del Principato Vescovile.
Bartolomeo Vincenzo Stancher venne condotto sotto scorta militare a Innsbruck, processato e condannato alla pena capitale il 4 agosto 1777.
Maria Teresa in persona ordinò che Stancher, reo a tutti gli effetti, non fosse ucciso: ma venisse portato sotto la forca e lì pubblicamente frustato dal carnefice; quindi bandito da tutti gli Stati di Sua Maestà imperialregia.
Al bando vennero condannati anche alcuni giudici di Innsbruck ed i falsi testimoni. che dovettero inoltre pagare una salatissima multa.
Don Giangasparo Ziller ottenne il più ambito risarcimento quando l’imperatrice lo nominò suo cappellano di corte, dotandolo di un assegno vitalizio ed offrendogli un appartamento nella Residenza di Innsbruck.
Il buon uomo, così riabilitato, visse ancora a lungo, spegnendosi a 81 anni nel suo paese di Sanzeno, il 5 gennaio 1797.