31 marzo 1407: una pagina di diritto che ha anticipato i tempi
Alle radici dell’identità nonesa ladino retica
Il 31 marzo dell’anno 1407 comparivano di fronte al Principe Vescovo di Trento, Giorgio di Lichtenstein, 46 delegati delle pievi delle Valli di Non e di Sole, accompagnati da 4 notai (tre nònesi e un solandro) dotati di potestà procuratorie, per stipulare un accordo solenne che avrebbe posto fine alla insurrezione che aveva incendiato le due valli, per il malgoverno del potere vescovile e la lesione dei secolari diritti di autogoverno delle valli.
Importanti erano le conquiste di varia natura sancite nel documento. Tuttavia era il nucleo centrale ad assumere una portata rivoluzionaria. Esso aveva come oggetto la riforma della giustizia. Ricordo che quando lessi quella parte di documento (portato alla luce da Virgilio Inama, Fondo 1835 – Milano 1912) per la prima volta, trattenni il fiato per l’emozione. Mi trovavo difronte infatti ad una radicale riforma che scalzava alla base l’ordinamento e la procedura giudiziaria vigente in Trentino ed in Italia da parecchi secoli, e che, con riferimento alla procedura penale, veniva denominato “rito inquisitorio.”
Riassumendo in estrema sintesi i contenuti di questa procedura, si potrebbe dire che quando veniva commesso un delitto, il magistrato inquirente, che assommava in sé i poteri della pubblica accusa e del giudice, se identificava un sospetto, lo interrogava. Se poi dalle dichiarazioni del prevenuto emergevano incertezze o contraddizioni, lo ammoniva, e se questi persisteva, lo faceva incarcerare e lo sottoponeva a tortura. Quindi, anche se innocente, sotto la morsa dei tormenti, egli si dichiarava colpevole, e coinvolgeva altri innocenti. Naturalmente del diritto ad una qualsiasi assistenza d parte di un legale, non c’era l’ombra. Ebbene, avverso a questo sistema, i riformatori posero una prima norma che ancor oggi è presente nelle Costituzioni dei paesi democratici. Ecco cosa dice l’articolo 25 della Costituzione italiana: “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.” Solo che la formulazione nel testo del 1407 non è così “tecnica”, poiché risente di traumi subiti dalle popolazioni. Dice infatti il documento “che nessun valligiano può essere imprigionato e condotto fuori delle Valli, sottraendolo al suo giudice naturale, il Vicario. Solo questo dovrà giudicarlo secondo le norme dello Statuto di Trento. Però deve esserci un formale atto di accusa tempestivamente notificato all’imputato, in cui è assegnato anche un termine perché questi possa predisporre le sue difese”.
E a questo punto, compare nel testo un’altra norma rivoluzionaria: all’imputato che lo richiede, è riconosciuto il diritto a farsi difendere da un avvocato. E per ultimo, la riforma prescrive che il magistrato non può decidere di sottoporre l’imputato a tortura, se non sono presenti due uomini (duo boni homines) eletti dalle Valli, che devono controllare se questa inflizione sia conforme a diritto. (“si juris est”). Si istituisce quindi, nel tardo medioevo, un controllo popolare sull’impiego della tortura.! Innovazioni di tale portata non potevano essere limitate alle sole Valli del Noce, per cui la riforma fu in breve tempo estesa, ancorché edulcorata in alcuni punti, al territorio di tutto il Principato. Tuttavia quella era la fase storica di sviluppo dello stato moderno, accentratore ed avverso ai diritti delle comunità territoriali e dei singoli cittadini. I diritti conquistati vennero quindi sistematicamente contestati e misconosciuti, provocando altre insurrezioni. Seguì quindi settanta anni dopo un’altra insurrezione per cui il Principe Vescovo fu costretto a riconfermare la riforma con solenne editto del 1476, in cui esplicitamente si menziona, riconfermandola, la norma antitortura.
Poi le rivolte popolari nelle Valli del Noce e di tutto il Trentino, in alleanza con le popolazioni del Tirolo, confluirono in moti di portata europea nel 1525, per concludersi in piena era napoleonica, nel 1809, con la insurrezione guidata da Adreas Hofer, cui le valli trentine aderirono in massa, opponendosi alle coscrizioni forzate che portavano i giovani a morire sui vari fronti delle guerre napoleoniche.
Da questo excursus emergono dati caratterizzanti la identità trentina. Essi meglio si manifestano in comparazione con quelli delle due grandi regioni confinanti, le quali hanno sempre avuto mire egemoniche sul Trentino. Nella storia di queste emergono opulenza economica e splendori d’arte, ma anche grandi masse di plebe priva di ogni diritto, e nessun moto popolare per l’autonomia dei territori. Guardando inoltre a quelli che furono poi chiamati “diritti dell’uomo e del cittadino,” nuclei significativi di questi, come si evidenzia in questo critto, furono al centro delle ricorrenti insurrezioni popolari delle valli trentine, con straordinario anticipo rispetto ai tempi europei. Ma di queste non si trova invece traccia nella storia delle due regioni della pianura.
Ignorare e contestare lo straordinario patrimonio civile culturale e politico delle valli trentine, e il loro ruolo nella storia e nella identità del Trentino, e in quella delle correnti progressiste europee, costituisce la matrice politica di disastrose scelte che hanno condotto alla crisi della autonomia trentina. Fra esse la negazione dei diritti del gruppo linguistico ladino retico delle Valli del Noce, l’unico, con i ladini retici della Svizzera romanda, a sopravvivere in Europa, lo smantellamento della Regione, istituzione simbolo della secolare amicizia e alleanza colle popolazioni tedesche del Tirolo. Anche questo valore, di valenza europea, è una componente essenziale della identità trentina.