Quando posso andare in pensione? E sarà sufficiente?
Previdenza integrativa (parte 2)
Abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandro Micheli un Consulente Pensionistico e Previdenziale.
Come sono cambiate negli ultimi anni le prestazioni pensionistiche pubbliche?
Lo Stato sociale (welfare state) è un modello di previdenza sociale che in Italia ha avuto origine nel secolo scorso. In quegli anni sono nate le prime assicurazioni sociali per garantire una pensione (INPS) e protezioni economiche in caso di infortunio sul lavoro (INAIL). Nel secondo dopoguerra in conseguenza della crescita economica dei primi anni 60 e del baby boom le prestazioni erogate dal sistema pubblico sono state particolarmente generose. Queste maggiori prestazioni sono anche state utilizzate per ottenere un maggior consenso politico a discapito delle generazioni future. A partire dagli anni 90 questo sistema ha iniziato a non essere più sostenibile per cui lo Stato è intervenuto con diverse riforme. Le più importanti sono state: nel 1995 la riforma Dini, che ha introdotto il regime di calcolo contributivo e in tempi più recenti la riforma Fornero, la quale ha modificato le possibilità di accesso al pensionamento.
Quanto incide la demografia sulla sostenibilità del sistema previdenziale pubblico?
Per prima cosa dobbiamo ricordare che il sistema previdenziale pubblico è a ripartizione. Ciò significa che le pensioni erogate sono pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi in quel momento. Oggi (dati ISTAT) ci sono 602 pensionati ogni 1.000 lavoratori attivi. L’Italia è un paese dove la popolazione è caratterizzata da un’alta longevità e da una bassa natalità. In sintesi, si vive a lungo, ma si nasce di meno. La sostenibilità del sistema previdenziale pubblico può essere garantita fintanto che il numero dei lavoratori attivi supera quello dei pensionati. È chiaro comunque che nel lungo periodo se la natalità continuerà a diminuire ed i pensionati ad aumentare, saranno drasticamente ridotte le prestazioni applicando dei correttivi che prevedono un aumento dell’età pensionabile e la riduzione degli importi erogati.
Lei pensa che i mutamenti demografici possano rappresentare solo un problema o anche un’opportunità?
Dare una risposta certa a questa domanda è difficile. Come sempre dietro a un problema esistono delle opportunità. Tuttavia, le opportunità diventano tali quando si comprende una nuova realtà e ci si adatta. L’aumento della longevità nella popolazione ad esempio, è sicuramente una cosa positiva. Fino ad alcuni decenni fa le persone che raggiungevano età molto avanzate come: 85, 90 o anche 100 anni erano relativamente poche. Oggi, grazie al benessere raggiunto, le persone che arrivano a questo traguardo non sono più una percentuale marginale. È chiaro però che l’invecchiamento progressivo può diventare anche fonte di criticità dal punto di vista sanitario ed economico. Finché ci sono la salute e l’indipendenza economica l’invecchiamento è sereno. Ma se al contrario una persona diventa non autosufficiente, quindi non più autonoma nelle funzioni basilari della vita (come deambulare, vestirsi, nutrirsi in modo autonomo) è palese che sopraggiungano problemi di carattere finanziario che si ripercuotono sui familiari più prossimi, come le rette per l’assistenza o per una casa di riposo. Se guardiamo questo problema in ottica futura è logico domandarsi se nel futuro il reddito da pensione sarà sufficiente a coprire questi costi. Se l’età pensionabile aumenterà, e le prestazioni garantite dal sistema pubblico diminuiranno, giocoforza la costruzione della pensione futura non potrà più essere basata solo sulla quota pubblica, ma dovrà essere integrata con strumenti privati.
Quanto è importante una seria pianificazione previdenziale?
La pianificazione previdenziale è, e sarà, sempre più importante. L’argomento previdenziale interessa tutte le persone in età lavorativa. Con la pensione tutti ci dovremo confrontare prima o poi. Come ho sostenuto prima, lo scenario e le regole del gioco sono cambiate in modo netto. Una volta la pensione era calcolata solo sugli ultimi redditi e garantiva bene o male di mantenere un tenore di vita pre-pensionamento. Di conseguenza, ci si poteva permettere il lusso di interessarsi alla propria situazione previdenziale solo quando ci si avvicinava alla data del pensionamento. Oggi invece è necessario giocare d’anticipo. Bisogna essere per prima cosa informati e consapevoli per poter pianificare correttamente il proprio futuro.
Come dovrebbe essere svolta una corretta pianificazione previdenziale?
Ogni lavoratore ha una situazione e una storia previdenziale diversa. È diversa la pianificazione per un giovane che ha iniziato da poco a lavorare, rispetto a quella di chi ha già lavorato diverse decadi o a chi si sta gradualmente avvicinando all’età pensionabile. Prima della pianificazione è fondamentale però procedere ad un’analisi previdenziale attraverso la lettura dell’estratto contributivo, il documento che riassume i dati della vita lavorativa della persona. L’analisi dell’estratto contributivo permette infatti di fare una “fotografia” ad oggi senza la quale è come “camminare al buio”. Dall’analisi dell’estratto contributivo sono ricavabili molte informazioni come: l’effettiva anzianità contributiva maturata e il montante contributivo rivalutato. È inoltre possibile verificare se vi sono state omissioni contributive e se si è ancora in tempo per recuperarle.
Cosa succede se una persona ha svolto diversi tipi di lavoro, ad esempio è stato prima dipendente e poi successivamente lavoratore autonomo o viceversa?
Situazioni come queste sono molto frequenti. Di solito le persone durante la loro vita lavorativa cambiano lavoro e possono avere versato in diverse gestioni. Quello che cambia è l’entità dei contributi pagati. Ad esempio oggi un dipendente versa in contributi previdenziali del 33% del proprio reddito annuo, mentre un artigiano il 24% e un commerciante il 24,09%.
Come si distingue la previdenza obbligatoria dei liberi professionisti rispetto a quella dell’INPS?
L’INPS è l’ente previdenziale dove sono iscritti il maggior numero di lavoratori. Ad esso si devono iscrivere obbligatoriamente i dipendenti (pubblici e privati), i lavoratori autonomi: artigiani e commercianti, i coltivatori diretti, gli iscritti alla gestione separata e alle forme esclusive e sostitutive dell’AGO. I lavoratori che esercitano una professione a carattere intellettuale sottoposta all’iscrizione a un ordine e a un albo, sono liberi professionisti e non si devono iscrivere in INPS ma alle loro casse di previdenza. Ogni professione ha una propria cassa di previdenza: c’è la cassa di previdenza dei dottori commercialisti, quella degli avvocati, quella dei farmacisti ecc. Ognuna è autonoma, c’è chi ha mantenuto un regime di calcolo retributivo, altre sono passate al misto, alcune (quelle nate dopo il 1996) hanno un regime di calcolo contributivo. Nelle casse possiamo notare inoltre che la contribuzione obbligatoria è più bassa. Mediamente le casse fissano la contribuzione intorno a una percentuale media del 15% del reddito annuo lordo.
Quali sono i consigli che lei si sente di dare a chi non ha mai affrontato questi argomenti?
La previdenza è un argomento che interessa tutti e prima si approfondisce la propria situazione, meglio è!