La salute delle piante è la nostra salute
Le Nazioni Unite hanno deciso di proclamare il 12 maggio “Giornata internazionale della salute delle piante”, perché la nostra stessa vita dipende dalle piante. I cambiamenti climatici in corso possono però mettere a rischio anche la salute delle piante che, in primis, ci forniscono l’80% del cibo che mangiamo e il 98% dell’ossigeno che respiriamo.
Su un piano molto più limitato, riporto due esempi di problematiche delle piante , legate in vario modo a questi fenomeni, che sono presenti anche nei nostri ambienti.
Moria degli abeti rossi
In un interessante convegno organizzato da Fem l’11 aprile 2022 dal titolo “Gli scolitidi fra cambiamenti climatici ed interventi selvicolturali” è stato fatto il punto sullo stato di salute dei nostri boschi. In particolare il focus ha riguardato i boschi di abete rosso, messi a forte rischio da attacchi massicci di bostrico legati prevalentemente ai cambiamenti climatici.
In provincia di Trento abbiamo 390.463 ettari di boschi, pari al 63% della superficie complessiva.
Un terzo di questi sono costituiti da abete rosso che negli ultimi 3–4 anni ha subito gravi morie, provocate da fortissimi attacchi di “bostrico tipografo” (insetto della famiglia degli scolitidi), parassita specifico di queste piante. Il fenomeno è ben evidente osservando molti versanti boscosi. Alcuni numeri possono meglio evidenziare questa grave problematica che sta interessando l’Europa intera. Infatti, fino al 2018, le perdite per piante bostricate normalmente erano nell’ordine dei 3 milioni di mc/anno, mentre nel solo 2020 si è arrivati a circa 320 milioni di mc.
In Trentino invece il legname bostricato era di circa 10.000 mc/anno, fino al 2018, per arrivare, nei tre anni successivi a quasi 400.000 mc totali. Nelle Valli del Noce, finora, la situazione si presenta un po’ migliore rispetto ad altri distretti.
L’abete rosso è una pianta tipica degli ambienti freddi. I cambiamenti climatici, come l’innalzamento delle temperature e la distribuzione sempre più irregolare delle precipitazioni, lo possono infatti mettere in forte sofferenza. Questo stato di forte stress potrebbe essere anche transitorio, ma se si somma ad un successivo forte attacco di bostrico ecco che allora per le piante non c’è scampo. Ed in effetti in questi ultimi anni questo parassita è aumentato a dismisura sia per la grande disponibilità di alimento (piante sofferenti), ma anche per l’innalzamento delle temperature che gli consentono di iniziare prima l’attività e poter moltiplicarsi maggiormente. Normalmente il bostrico cerca ed entra solo in alberi stressati nei quali erode i tessuti sottocorticali bloccando il flusso della linfa e portandoli così alla morte; tuttavia quando la popolazione di questo insetto è estremamente alta può attaccare anche abeti sani. Le piante colpite, in una prima fase, non mostrano sintomi particolari ma solo una leggera perdita di aghi verso fine stagione. L’anno successivo si nota uno schiarimento progressivo del colore degli aghi fino ad arrivare, nel volgere di 2-3 anni, alla caduta totale degli aghi e al disseccamento totale. A questo stadio il parassita non c’è più ma è andato a colonizzare altre piante ancora vive. La popolazione del bostrico dopo alcuni anni di forte incremento tende a decrescere lentamente soprattutto per l’azione dei suoi antagonisti naturali.
In questo quadro già preoccupante si inserisce poi, per alcune zone, il disastro della tempesta Vaia di fine ottobre 2018 che, oltre ad aver provocato un immenso danno diretto, ha favorito anche il pullulare del bostrico.
L’attività di prevenzione dei servizi forestali consiste nel tener monitorata la situazione, programmare tempestivamente i tagli di piante colpite e sveltirne il più possibile l’esbosco; lo stesso vale per eventuali schianti causati da neve o vento. Certamente non è un compito semplice specie dove gli attacchi sono già estesi. Parte delle piante disseccate volutamente non vengono tagliate perché possono ancora fornire una certa protezione dal vento e dall’insolazione eccessiva.
Il bosco ha una valenza enorme sia ambientale che climatica e non solo perché offre bei paesaggi ma, soprattutto, perché contribuisce alla biodiversità, al sequestro di CO2 , alla stabilità idrogeologica dei suoli, alla riduzione del rischio valanghe e caduta massi ed è una riserva preziosa di legname da ardere e da commercio. é anche emerso chiaramente che i boschi misti con latifoglie o altre essenza sono più resilienti e meno a rischio di quelli in purezza.
Moria del melo
Secondo l’andamento climatico, in certe annate, si assiste anche nelle valli del Noce al fenomeno della moria delle piante di melo dovuta a cause abiotiche (non parassitarie). Sulla totalità delle piante coltivate, per ora, la percentuale di quelle colpite da questa sindrome è ancora abbastanza limitata. In certi frutteti però l’incidenza può essere anche molto alta e tale da compromettere la redditività del frutteto stesso. Inoltre, spesso succede che anche le nuove piante rimesse vanno incontro agli stessi problemi. Di solito la problematica è più manifesta in terreni leggeri, magri o bonificati ma non mancano situazioni del tutto diverse. Nonostante gli sforzi profusi dalla consulenza nell’individuare le cause, ad ora, non si sa esattamente cosa scateni questa sindrome. Di conseguenza diventa quasi impossibile trovare delle soluzioni adeguate. Le piante colpite in prevalenza sono piante giovani ma a volte anche adulte. Nelle annate critiche, si presentano alla ripresa vegetativa con evidenti danni da freddo: spaccature o imbrunimenti corticali sul tronco e localmente imbrunimento sotto corticali. Ciò comporta difficoltà o impedimento al passaggio della linfa. Di conseguenza, avvicinandosi all’epoca fiorale, mancando il flusso linfatico, la pianta deperisce fino a morire oppure arrivano alla morte con il caldo estivo. In queste condizioni spesso subisce anche attacchi di bostrico (parassita specifico di molte piante coltivate e di svariate altre latifoglie) che contribuisce ad aggravare la situazione. Per ridurre la diffusione di questo pericoloso insetto lignicolo viene raccomandato di eliminare e bruciare tempestivamente le piante che presentano i classici minuscoli fori nel tronco.
Sembra strano associare le morie ai danni da freddo perché verrebbe da osservare che sicuramente una volta gli inverni erano più rigidi. In realtà, probabilmente, ma necessitano ulteriori accertamenti, i problemi potrebbero nascere dall’alternarsi di periodi invernali molto miti, che rompono il riposo invernale, con ritorni di gelo, che danneggiano gravemente i vasi linfatici sottocorticali. Le misure cautelative consigliate, specie negli impianti giovani e situazioni più a rischio, sono rivolte a migliorare la fertilità fisica e biologica del suolo attraverso l’apporto di sostanza organica matura ed adeguate lavorazioni. Viene anche raccomandata la spennellatura dei tronchi con vernici sbiancanti e/o prodotti rameici, in epoca autunnale. In prospettiva, vista l’importanza crescente di questa problematica, sarà fondamentale il ruolo della sperimentazione e della ricerca.