Analisi macroeconomica e dei mercati

Analisi macroeconomica e dei mercati

Il momento attuale è particolarmente complesso sotto il profilo economico. Sono in corso cambiamenti strutturali uniti ad una violenta variazione dei prezzi delle materie prime che creano tensioni sui mercati finanziari. Per decidere dove investire è necessario capire quale sarà l’evoluzione dell’economia e delle aziende, oltre ai tassi d’interesse. Dopo anni d’inflazione pari a zero, siamo ritornati con i prezzi dei beni di consumo che salgono a due cifre.   

Per capirne di più abbiamo intervistato il dott.Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione di Corporate Family Office SIM S.p.A.

Dott. Tognoli il 2022 si sta rivelando un anno particolare, quali sono i problemi che stanno condizionando i mercati?

Nel volgere di tre mesi, dall’euforia per la forte crescita economica in uscita dalla pandemia registrata nel 2021 e che sarebbe continuata in modo importante anche nel 2022, le banche centrali hanno cominciato a ridurre le stime del PIL ed aumentare quelle dell’inflazione. I mercati hanno quindi cominciato a scontare un avvicinamento del tasso reale allo zero (dopo che negli ultimi tre anni sono stati negativi). Questo, unito ad un peggioramento dello scenario macroeconomico generale dovuto al forte rialzo del prezzo dell’energia e alla guerra, ha comportato un rialzo del premio per il rischio con un conseguente aumento del rendimento richiesto dagli investitori. A parità di tutte le altre condizioni, il maggiore rendimento è ottenibile solo comprando a prezzi più bassi. I mercati al momento si attendono una recessione nel 2023 (l’incertezza è nella sua durata e profondità). Una ripresa dei mercati è possibile solo con una flessione del rischio complessivo, che potrebbe verificarsi per esempio con la fine della guerra.

Il cambiamento economico è strutturale oppure di breve periodo?

Ritengo che il cambiamento economico sia strutturale, perché strutturale appare il cambiamento geopolitico mondiale che vedrà due grossi blocchi economici: Russia – Cina (e forse India) e USA – Europa – Giappone. Russia e Cina, superati gli storici problemi, si stanno avviando ad una sempre più stretta collaborazione sia energetica che industriale e con l’India sono forti di oltre 3,5 miliardi di consumatori. Difficile capire al momento come si evolveranno i rapporti di forza geo-politici.

Le banche centrali inizialmente sostenevano che l’inflazione fosse transitoria, mentre ora affermano sia di lungo termine. Cosa gli ha fatto cambiare opinione?

Beh, sicuramente l’evidenza dei dati. Inizialmente le Banche Centrali hanno pensato di poter pilotare in modo graduale l’inflazione e la crescita economica. Hanno sottovalutato che l’enorme massa monetaria creata avrebbe creato una forte inflazione nel momento in cui l’economia si fosse ripresa. La corsa al rialzo dei tassi rischia tuttavia di essere poco efficace (almeno in Europa), visto che l’inflazione è soprattutto da costi contro la quale la politica monetaria ha notoriamente le armi spuntate.

E’ possibile fare un parallelo con gli anni ’70?

Negli anni 70/80 la stagflazione fu stroncata dalla delocalizzazione che ha ridotto fortemente la possibilità di contrattare eventuali aumenti salariali riportando in equilibrio il mercato del lavoro, stroncando ulteriori peggioramenti dell’inflazione. Oggi le leve usate negli anni 70/80 non sono praticabili e la politica monetaria restrittiva risulta sempre meno efficace. Non solo, ma alla luce delle difficoltà delle catene di approvvigionamento causate dalla pandemia ed esasperate dalla guerra, gran parte delle imprese stanno riportando all’interno numerose attività, de-globalizzando il sistema. La maggior domanda di lavoro qualificato (non è un mistero che manchino lavoratori) potrà incontrare l’offerta solo a salari crescenti, alimentando l’inflazione. La teoria economica dice che occorrerebbe muovere le leve della politica fiscale, riducendo la spesa corrente e la pressione fiscale, unici strumenti efficaci per stimolare i consumi e per questa via la domanda aggregata di beni e servizi. Oppure, sostenere gli investimenti (il bazooka fiscale di Biden e il NGeu Europeo vanno in questa direzione), monitorando però attentamente che la spesa corrente e la pressione fiscale non aumentino. La crescita economica che ne consegue renderebbe possibile una ripresa dell’occupazione. Alle Banche Centrali spetterebbe il compito di fine tuning, ovvero di equilibrare la liquidità immessa nel sistema attraverso una migliore allocazione della massa monetaria che accompagni la ripresa dell’economia.

A livello geografico quale zona sta soffrendo di più e perché?

L’Europa sta soffrendo molto di più degli USA e la ragione è la dipendenza energetica (gas e petrolio) dalla Russia (gli USA sono infatti indipendenti da un punto di vista energetico). Non solo, ma una parte del gas che manca all’Europa, sarà fornito dagli USA (ma a prezzo più alto del doppio rispetto a quello Russo). Ma l’Europa è anche più globalizzata rispetto agli USA, importando gran parte dei componenti e delle materie prime necessarie alla produzione (lo vediamo con i componenti delle auto). In questa situazione, l’inflazione potrebbe essere non solo più alta rispetto alle attese della BCE, ma anche più resistente alla discesa.

Nel fare riferimento ai blocchi economici mondiali, spesso ci si dimentica della Cina quale motore del mondo. Ma come sta andando l’economia cinese?

Il 2021 e i primi sei mesi del 2022 sono stati anni di forte volatilità per l’economia Cinese. Anni caratterizzati dal Covid e dalle carenze energetiche e in cui il governo ha voluto mettere mano al riordino dell’espansione del capitale (vedi settore immobiliare, oggi ancora sotto i riflettori per le dimissioni più o meno spintanee del CEO e del CFO di Evergrande). Appare comunque chiaro ed evidente che quest’ultima strategia non ha prodotto i risultati attesi, tanto è vero che le autorità hanno dato corso ad un allenamento monetario il cui risultato più evidente è proprio un aumento dell’inflazione (nel gennaio 2022 era pari allo 0,9% e a giugno è risultata del 2,2%), anche se questa appare meno preoccupante rispetto a quella degli USA e dell’Europa.  In quest’ottica va letta la mossa della Banca Popolare di Cina che, nell’intento di incoraggiare le banche a concedere più prestiti alle imprese, ha ridotto dello 0,5% la proporzione di depositi bancari da tenere come riserve, raggiungendo una media dell’8,4%. La riduzione delle riserve, che sono note come required reserve ratio (RRR), consentirà d’immettere gradualmente nell’economia 1.200 miliardi di yuan (circa 190 miliardi di dollari).

Paolo Leonardi