A ferragosto brindiamo con il sidro
Amo il vino (e non potrebbe essere altrimenti come commissario degustatore nei più importanti concorsi enologici nazionali ed europei), amo la birra (non resisto alle tentazioni di una Budweiser o di una Weizen o di una ambrata delle Fiandre), ma amo (e non gridate allo scandalo) anche il sidro. Lo amo da quando nelle mie frequenti trasferte spagnole, in particolare nelle Asturie, in Cantabria, nei Paesi Baschi, in Galizia, in Andalusia, mi lascio trascinare dal rito del “tapear”, una sorta di processione laica, di bar in bar, dove sui banconi troneggiano le tapas o pinchos, peccaminosi stuzzichini da accompagnare con il sidro che i camerieri versano nel bicchiere dall’alto, il più alto possibile (altro rito), per stimolare l’anidride carbonica che si sviluppa durante la fermentazione delle mele. Ecco il motivo per cui, nel regno di Melinda, lancio l’idea di festeggiare il prossimo Ferragosto brindando con uno spumeggiante calice di sidro.
Antica e piacevole bevanda popolare.
“Sidro” in italiano, “cidre” in francese, “cider” in inglese, “Apfelwein” in tedesco, “sidra” (rigorosamente al femminile) in spagnolo. In Italia, terra del vino per antonomasia, l’antica bevanda popolare ottenuta dalla fermentazione del succo di mela, un tempo era molto diffusa soprattutto al Nord (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli, Lombardia, Piemonte), ma poi è andata scomparendo nel periodo della dittatura fascista a causa di una norma che vietava la produzione industriale di bevande spiritose al di sotto dei 7 gradi alcolici. Tale provvedimento aveva lo scopo di incentivare il consumo del vino. Il risultato è stata la scomparsa quasi totale della produzione di questa bevanda che ormai sopravvive solo in poche realtà dell’arco alpino.
In altre regioni europee, invece, il sidro continua a deliziare il palato dei buongustai. E ciò giustifica l’ampia diffusione di questa bevanda in Inghilterra, in Germania, in Russia, in Francia (Bretagna, Normandia, Loira, Savoia) per non parlare della Spagna dove la “sidra” viene proposta come alternativa al vino in tutti i ristoranti. Ma il sidro è apprezzato anche in Canada, negli Stati Uniti, in Asia, Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica.
Il sidro vanta origini antichissime.
A questo punto ci chiediamo dove e quando questa antica bevanda è stata consumata per la prima volta. L’origine è sicuramente antichissima. La Bibbia documenta come gli ebrei (2.800 avanti Cristo) amassero mescolare il miele con il sidro. Nel Nord Europa, invece, il sidro era, assieme alla birra chiamata “cervogia”, l’unica bevanda alcolica fermentata e divenne ben presto, soprattutto tra le popolazioni celtiche, una bevanda nazionale, al punto che le ricette per la produzione del sidro erano gelosamente custodite dai sacerdoti druidi. Nel Medioevo le regioni coltivate a meleto raggiunsero notevoli dimensioni. Persino Dom Pierre Pérignon, il monaco benedettino cui è attribuita la nascita dello Champagne, nel 1683 si sarebbe ispirato alla produzione sperimentale di un sidro addizionato di saccarosio per ottenere un vino più frizzante.
Lucia Maria Melchiori, la reginetta trentina del sidro.
Ma veniamo ai giorni nostri. Da qualche anno (inizi del Duemila) il sidro sta vivendo un vero e proprio Rinascimento anche in Italia grazie soprattutto ad alcuni imprenditori nostalgici della Valle d’Aosta, della Valle Varaita (Cuneo), della Carnia, della Valtellina, della Val di Non. In Trentino il merito di aver riscoperto e lanciato questa antica bevanda è di una donna vulcanica, Lucia Maria Melchiori, ribattezzata la reginetta del sidro, dei succhi di mela, degli aceti balsamici, dei distillati e della birra artigianale. Con i consigli del marito Alberto Corazzolla e con l’entusiasmo del figlio Matteo, il “cidermaker” dell’azienda, a Tres ha creato un’azienda modello dotata delle più moderne tecnologie, che trasforma le mele del Trentino-Alto Adige in una gamma di prodotti certificati bio a livello europeo. Sidro, ma non solo: anche aceti di mela, aceti aromatizzati, aceto balsamico (invecchiato 5 anni in barrique), sciroppi, succhi e birre artigianali.
Nella versione tradizionale ricorda la tecnica spumantistica del Prosecco.
Il sidro (nella versione tradizionale o aromatizzata ai mirtilli, al sambuco, alla menta, allo zenzero) è prodotto con il metodo ancestrale “sur lie”, con il metodo classico della rifermentazione in bottiglia o in autoclave con il metodo Charmat o Martinotti seguendo le tecniche spumantistiche che ricordano la lavorazione del Prosecco (da qui la scelta di affidarsi come consulente a Loris Dall’Acqua, enologo di Col Vetoraz, la pluripremiata azienda agricola di Santo Stefano di Valdobbiadene).
Il risultato è una bevanda piacevolissima, fresca, leggermente frizzante, di media gradazione alcolica, dal profumo inebriante e dal sapore fruttato. Ottimo come aperitivo, il sidro è gradevolissimo anche a tavola per accompagnare antipasti, primi piatti, ma anche pietanze più impegnative.
Fuori pasto va bevuto freddo (temperatura consigliata 8 gradi) ed è ideale anche come «spritz» con lo sciroppo di sambuco e alcune foglioline di menta o con il gin o altri sciroppi.
Qualche anno fa alla Fiera internazionale di Gijon, città bohémien delle Asturie, tappa obbligata quando mi reco nella vicinissima Villaviciosa, capitale spagnola del sidro, Lucia Maria Melchiori ha sbaragliato il campo imponendosi come il miglior sidro del mondo nei confronti di analoghe bevande presentate dai produttori del pianeta.
Un motivo d’orgoglio per il Trentino e per la valle di Non.
Prosit.