La leggenda dei “Zingeni a Darden”
“I l’a fata come i zingeni a Darden!”
Molti di voi avranno certamente sentito questo detto nato da una buffa leggenda ambientata a Dardine, un piccolissimo e soleggiato paese sulla sponda sinistra del Noce nella bassa Val di Non, circondato da prati e boschi vicino al famoso Castel Thun da cui è separato da una valle poco profonda scavata dal torrente Pongaiola.
Era il tardo Medioevo, il piccolo borgo era formato da un nucleo di poche case l’una attaccata all’altra, da una chiesetta già all’epoca molto suggestiva visto che era stata costruita dalla potente famiglia Thun.
La fertile terra intorno al paese produceva un vino delizioso già apprezzato ai tempi del concilio di Trento, il grano cresceva forte e la selvaggina nei boschi era numerosa.
Purtroppo, come ben si sa, gli abitanti di Dardine non potevano godere di tali ricchezze perché ogni cosa era di proprietà della famiglia Thun, che teneva in povertà le persone che lavoravano al suo servizio.
Era una giornata di fine inverno quando, in paese, giunsero con il loro carrozzone i “zingeni”.
Mentre alcuni di loro intrattenevano grandi e piccini con giochi e racconti, altri si introdussero nelle povere case per rubare.
Trovarono ben poco da predare, si dovettero accontentare di vecchie pentole di ferro ammaccate, brocche e ciotole scheggiate.
A sera, i Dardenesi, si ritirarono in casa per accendere i fuochi e preparare il loro misero pasto, ma una brutta sorpresa li accolse…non c’erano più pentole in tutto il paese!
Capirono subito chi fosse stato e si ritrovarono in piazza per organizzare la loro vendetta.
Era notte fonda quando alcuni uomini capeggiati dal Nane sindaco, giunsero alle pendici dello scosceso bosco dove si erano accampati con le loro tende gli zingari.
C’era silenzio, tutti dormivano ed intorno ai tizzoni del fuoco rilucevano alla luna una serie di pentole e paioli di prezioso rame che il popolo nomade lavorava per le cucine dei nobili.
Il sindaco guardò gli uomini che lo accompagnavano, con lo sguardo fece loro posare le vecchie pentole, si caricarono in spalla tutte le pentole di rame che potevano portare e sghignazzando sotto i baffi tornarono in paese.
Al mattino, i nomadi non trovarono più le loro belle pentole di rame ma solo quelle vecchie e rotte rubate a Dardine. E se ne andarono, come si dice, con le pive nel sacco!
Da allora, in Val di Non, il detto accompagna coloro che pensano di imbrogliare il prossimo ed alla fine vengono puniti con una sorte peggiore per sè stessi.
San Marcello, il vero tesoro
Gli zingari fortunatamente non lo sapevano ma il vero tesoro di Dardine è la chiesetta dedicata a San Marcello.
L’origine della chiesa è trecentesca, come testimonia un frammento d’affresco rappresentante la Vergine che allatta il Bambino all’esterno, lungo la parete meridionale: risale alla seconda metà del Trecento ed è attribuito al pittore errante noto con il nome di “Maestro di Sommacampagna”.
L’aspetto attuale della chiesa è però opera di una ricostruzione cinquecentesca e il campanile è databile all’inizio del XVI secolo.
L’interno è caratterizzato da una serie molto vasta di preziosi affreschi, come quelli che compaiono nella crociera del presbiterio raffiguranti quattro episodi della Passione di Cristo di fine XV sec. o quelli posti sull’arco santo e nelle lunette dell’area presbiteriale.
L’opera di gran lunga più preziosa conservata nella chiesa è la pala dell’altare maggiore raffigurante la Vergine col Bambino tra S. Vigilio e S. Marcello, opera di Girolamo da Bamberga, autore anche dell’affresco posto sopra la porta di Torre Aquila a Trento.
La tavola, datata 1492 (anno, lo ricordiamo per inciso, in cui Cristoforo Colombo scopri l’America!), era posta in origine nella parte interna di un altare a portelle; con ogni probabilità, quando quest’ultimo venne sostituito, la pittura venne conservata in quanto oggetto di devozione popolare.
Di gusto tardo gotico, la tavola mantiene intatta traccia della tecnica quattrocentesca del Pressbrokatche conferiva l’illusione di un tessuto operato alle vesti delle figure Sante.