Nonesi / solandri ladini: obiettivo riconoscimento

Nonesi / solandri ladini: obiettivo riconoscimento

Aspettando i dati del censimento linguistico

Il disinteresse della classe dirigente trentina nei confronti dei gruppi e delle minoranze linguistiche sta avendo oggi ulteriori conferme. Nel disinteresse generale, le due vali del Noce sono protagoniste di mutamenti che incideranno sugli assetti politici e istituzionali del Trentino.

In Anaunia i maggiori comuni, compreso il capoluogo Cles e che ora rappresentano oltre i due terzi della popolazione della valle, con deliberazioni quasi sempre unanimi dei relativi consigli comunali, hanno chiesto la modifica della norma di attuazione che disciplina le modalità di svolgimento del censimento degli appartenenti ai gruppi linguistici minoritari in Trentino.

L’obbiettivo è il riconoscimento, anche ai fini del censimento di cui si attendono gli esiti, della identità ladino retica delle popolazioni che da 2500 anni sono insediate nelle Valli di Non e di Sole. Analogamente, in Val di Sole, il mondo culturale da sempre molto attivo nel campo della storia e della identità culturale della valle, ha subito analoga evoluzione, rivendicando anch’esso il riconoscimento ufficiale dello status di appartenenza al gruppo linguistico ladino retico delle popolazioni della valle del Noce.

Questi pronunciamenti in due valli che hanno sempre avuto un peso rilevante nella storia del Trentino, segnano l’inizio di una nuova fase nelle vicende politiche del nostro territorio, per almeno due motivi.

Il primo riguarda la affermazione del valore fondante del patrimonio culturale politico e identitario delle valli, delle loro forme di autogoverno, in cui la popolazione trentina si riconosce da molti secoli, al di sopra della dimensione comunale.

C’è poi un secondo aspetto di questi pronunciamenti che è ancora più importante. Esso infatti si collega ad una precisa norma statutaria della Regione che fissa, fin dall’inizio del testo costituzionale, i caratteri fondamentali della speciale autonomia del Trentino Alto Adige.

L’articolo due dello Statuto afferma “Nella regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali”.

La norma si riferisce certo in primo luogo alle popolazioni di lingua italiana e tedesca del Trentino Alto Adige, ma riserva, nello Statuto, anche ampio spazio ai ladini, talvolta menzionando i ladini dolomitici, ed altre volte senza specificazioni, estendendo quindi le sue disposizioni a tutti i ladini dell’intero territorio.

Ora è noto che ai fini della tutela di queste minoranze, operano ancora disposizioni (non statutarie) contenuta in norme di attuazione, che disciplinano le tutele solo dei ladini di Fassa e non menzionano l’altro gruppo ladino del Trentino, che peraltro all’epoca non aveva avanzato alcuna rivendicazione di riconoscimento.

Ciò è in parte dovuto a una sorta di “peccato di orgoglio” di nònesi e solandri che, fidando nella loro storia bimillenaria e nell’enorme patrimonio culturale attestante la loro identità (vocabolari, grammatiche, volumi sulla toponomastica, la storia, la linguistica, innumerevoli raccolte di poesie in lingua locale, testi di diritto, pronunciamento di insigni linguisti ecc.) hanno ignorato il fatto che senza il riconoscimento e il sostegno delle istituzioni pubbliche, nessuna minoranza, anche la più radicata, oggi può sopravvivere.

Comunque, grazie ad una variazione legislativa, introdotta su mia iniziativa quando ero membro della Commissione dei 12, il censimento dei gruppi linguistici venne esteso dalla Val di Fassa a tutto il Trentino.

E a questo punto nònesi e solandri incominciarono a schierarsi.

Nel censimento del 2001 già alcune migliaia di cittadini delle due valli si dichiararono ladini.

Ma 10 anni dopo, nel 2011, nelle due valli, i dichiaranti (su schede incui il termine “ladino” non aveva altra specificazione) furono 10.103 e sorpassarono largamente il numero dei dichiaranti ladino dolomitici di Fassa (8.447).

Ma questa situazione è diventata da tempo insostenibile dal momento che tutte queste dichiarazioni provenienti dalla Valle del Noce vengono classificate come attestazioni di appartenenza al gruppo dei ladini di Fassa, in quanto unico gruppo riconosciuto. Cosa assurda, e addirittura grottesca, dal momento che i ladini retici per lingua, storia, dislocazione geografica, sono diversi e distanti dai ladini di Fassa.

Basti pensare che la Val di Fassa fa parte del Trentino dall’epoca napoleonica, poco più di due secoli, mentre già nel 46 dopo Cristo, grazie alla Tavola Clesiana, le genti retiche delle Valli di Non e di Sole. Facevano parte dello “splendidum Municipium” di Trento, in quanto cittadini romani.

La conseguenza è che oggi ogni finanziamento, provvidenza e tutela normativa, confluiscono esclusivamente sul gruppo della Valle dell’Avisio, la cui consistenza risulta più che raddoppiata dalle dichiarazioni di ladinità (in realtà romano retica) di Nònesi e Solandri!

Quanto si sta muovendo nella Valle del Noce non è quindi il frutto di localismi o protagonismi di vallata. L’Impero d’Austria riconobbe i ladini retici, finanziò con cospicue risorse per 10 anni (fino allo scoppio della grande guerra) una ricerca in Val di Non sul canto popolare ladino nella Valle, e ne curò la stampa in un volume di oltre 700 pagine, anche oggi reperibile, edito a cura dell’Istituto ladino di Fassa.

La lingua romano retica parlata nella Svizzera romanda è costituzionalmente riconosciuta.

Il grande linguista G.I. Ascoli definì gli abitanti della Valle di Non “ladini occidentali” e ne indagò l’idioma plaga per plaga. La discriminazione ai danni del maggiore gruppo linguistico minoritario del Trentino in atto da molto tempo, è intollerabile, e potrebbe avere conseguenze traumatiche sulla tenuta stessa della pericolante speciale autonomia di Trento.

Dopo che è stato smantellato, in modo forse irreversibile, l’istituto regionale, la questione della tutela dei gruppi linguistici minoritari, essenziale per le regioni a Statuto speciale dell’arco alpino, è per l’autonomia trentina un requisito di sopravvivenza. Negare il riconoscimento al popolo più antico della regione, diretto erede degli antichi abitatori delle nostre montagne e delle nostre valli, della loro lingua e dei loro assetti culturali, è una condotta che scalza alla base i presupposti stessi dell’autonomia.

A meno che non si abbia in mente di rinunciare a tutto questo, in vista di opzioni “venete” ben presenti negli orientamenti di formazioni politiche ben presenti in Trentino.

Redazione