Monica Vitti, una diva a Castel Thun

Monica Vitti, una diva a Castel Thun

Nel 1979 in val di Non per girare il film “Il Mistero di Obervald” di Michelangelo Antonioni

A Roma il due febbraio scorso si è spenta Maria Luisa Ceciarelli, in arte MONICA VITTI.

Era nata nella capitale il 3 novembre 1931 e aveva vissuto la sua giovinezza in Sicilia dove il padre si era trasferito per lavoro. Fu una delle attrici più amate dalla nostra gente. Era molto apprezzata per la sua intelligenza e per il suo senso dell’umorismo. Aveva una bella presenza e un volto quasi provocante e sapeva interpretare indistintamente sia ruoli drammatici, sia ruoli comici. Un’altra caratteristica era anche la sua voce un pò rauca. Da giovane, per farsi strada, dovette cimentarsi con colleghe già affermate come la Lollobrigida, la Loren e la Pampanini.

Ancor giovanissima, nel 1953, s’iscrisse all’Accademia d’arte drammatica per poi passare, tre anni dopo, al teatro con la compagnia di Tofano. Poco dopo debuttò nel cinema con il film “Ridere, ridere, ridere”. Decisivo per la sua carriera fu l’incontro con Michelangelo Antonioni. Con lui interpretò numerosi film vincendo anche parecchi premi nazionali e internazionali. Fu proprio durante la lavorazione di uno di essi che io ebbi la gradita occasione di incontrarla. Ciò avvenne nell’estate del 1979, fra le mura di castel Thun.

Già nel 1978 il conte Zdenko mi aveva riferito di aver avuto una richiesta per girare all’interno del castello alcune scene di un film. Mi disse che non aveva raccolto l’invito perché la presenza di troppe persone avrebbe potuto danneggiare i pavimenti, i mobili e le suppellettili. Lo rincontrai poco tempo dopo ed egli, entusiasta, mi disse che aveva cambiato idea e aveva aderito alla richiesta. Garbatamente gli chiesi perché avesse improvvisamente cambiato la sua decisione e lui mi rispose che le ragioni erano tre.

La prima perché la maggior parte delle scene veniva girata nei cortili e sulle scale, la seconda perché gli piaceva la trama e la terza perché, per lui, era un grande onore ospitare un’attrice come Monica Vitti.

La pellicola s’intitolava “Il mistero di Oberwald” e si riferiva a una vicenda di fine dell’Ottocento avvenuta in un indistinto paese di lingua tedesca. La protagonista del racconto era una giovane regina (Monica Vitti).

La vicenda era liberamente tratta dal libro “L’aquila a due teste” di Jean Cocteau ed era interpretata anche dall’attore Franco Branciaroli sotto la regia di Michelangelo Antonioni.

Puntualmente nel giugno 1979 iniziarono le riprese del film e altrettanto puntualmente dal paese iniziò una processione di gente che saliva verso il castello per vedere gli attori dal vivo. Quella fu, però, una pia illusione. Infatti, non si poteva arrivare al set. Le porte delle mura erano sbarrate e controllate a vista da guardie private. Fu una delusione per tutti.

Fra i delusi c’ero anch’io. Non volevo, però, rinunciare a quella ghiotta occasione. Pensai a una soluzione alternativa che, per fortuna, mi si presento molto presto.

Venni a sapere che il cast si riforniva giornalmente di bevande presso la locale Famiglia Cooperativa della quale io ero il Presidente. Aspettai il momento giusto per la consegna e salii sul furgone assieme al commesso. Le guardie ci fecero entrare senza problemi così arrivai tranquillamente sul set. Ma non la feci franca. Sul posto c’era anche il conte Zdenko che mi conosceva molto bene. Mi chiamò in disparte per salutarmi e, mentre chiacchieravo con lui, dietro alla nostra schiena, apparve come una visione Monica Vitti. Il conte si sprofondò in un profondo inchino e mi presentò all’attrice come “Vizebürgmeister”.

Era bellissima. Io rimasi quasi impietrito. Risposi meccanicamente al suo saluto ma non ebbi la forza di replicare che da tre anni non era più vicesindaco del comune. Non si tornò più sulla questione e da quel momento, con quella carica non richiesta, ma neppure mai smentita, ebbi libero accesso al castello.

Ci tornai diverse volte. Notai che il conte era sempre più contento di aver ospitato Monica Vitti. Un giorno mi confessò che tutte le mattine le faceva pervenire un mazzo di rose rosse. Cose da veri gentiluomini! Un giorno, però, egli, involontariamente, mi fece un brutto tiro. Mi cercò e mi disse che aveva bisogno di un grosso favore. Io ero conscio che non potevo negaglielo. Sarei finito sul suo libro nero. Egli non era abituato a sentirsi dire di no. Ogni suo desiderio era un ordine e bisognava prontamente eseguirlo!

Mi disse che Monica Vitti desiderava visitare il castello e che lui aveva male a una gamba e non si sentiva di stare in piedi per due ore e salire fino al terzo piano. Pertanto, dovevo sostituirlo in tale incarico. Mi cadde il mondo adesso. Ero conscio delle mie lacune. Non conoscevo bene la storia della dinastia Thun, non conoscevo neppure le varie fasi della costruzione del maniero. Non conoscevo gli autori dei quadri; conoscevo solamente i più importanti come quello del Guardi, del Lampi, di Jacopo da Bassano e di Rosalba Carriera, ma degli altri non sapevo quasi nulla. Non conoscevo neppure i nomi e la storia di tutti quei mezzobusto appesi alle pareti. Avevo solo qualche vaga informazione datami dal conte durante le visite al castello. Era troppo poco e rischiavo di fare una meschina figura. Mi rendevo conto di essere troppo limitato per accompagnare un personaggio famoso come la Vitti. Fra il resto, la sua presenza m’incuteva molta soggezione. Mi sentivo come una formica contro un elefante. Con molto tatto cercai di declinare l’incarico, ma il conte fu irremovibile. Mi fece notare come tre anni prima, sempre su sua richiesta, avevo accompagnato il noto cavallerizzo Raimondo d’Inzeo, campione olimpionico ai giochi di Roma del 1960 e due volte campione del mondo.

Mi disse che allora era andato tutto bene e non capiva perché adesso non potesse andare altrettanto bene.

Obtorto collo” dovetti acconsentire.

All’ora convenuta la Vitti e Zdenko erano già pronti nel cortile interno. Quando li vidi, mi si gelò il sangue. Il conte aveva in mano due mantelli di loden color verde oliva. Ce li consegnò dicendoci di indossarli subito perché, pur essendo estate, certe stanze del castello erano ancora fredde.

Fu un momento terribile. Da una parte ero ambizioso per l’incarico ricevuto, d’altra parte mi rendevo conto dei miei limiti e delle mie mancanze. Oltretutto, se avessi fatto una brutta figura, mi sarei screditato anche nei confronti del conte. Ma ormai ero sul ballo e dovevo ballare.

Partii verso la cappella di san Giorgio con la lingua attaccata al palato; non riuscivo più a spiccicare una parola. L’attrice probabilmente si accorse del mio disagio e cominciò a chiacchierare amichevolmente mettendomi subito a mio agio.

Così dopo pochi minuti si ruppe il ghiaccio.  Ormai mi sentivo come in famiglia. Era come ci fossimo conosciuti da sempre. Visitammo tutto il castello senza problemi. Arrivati alla “Stanza del Vescovo” al terzo piano, terminai il mio lavoro e scendemmo verso il cortile. Lì ad aspettarci c’era conte Zdenko che ci chiese com’era andata. Monica Vitti fece dei commenti lusinghieri sulla bellezza del castello ed espresso un giudizio molto favorevole nei miei confronti. Non so se affermasse la verità.

Forse, come sulla scena, recitava una parte per non darmi un dispiacere.

Piero Turri