Prigioniero nell’inferno dei Balcani
Seconda parte: “OPZIONI”
… Ginoo, Ginoo gridavano: mia mamma, mio zio e mia nonna quando al fatidico 4 luglio del 1945 correvano su per il prato dello zio Roberto senza curarsi di calpestare l’erba. Allora ho visto in lontananza un uomo magro con una benda in testa con braccio fasciato e ho avuto paura. Solo quando ho sentito chiamare più volte il nome ho capito che era lo zio Gino, che non avevo mai visto, e che non dava notizie da diversi mesi.
Prima però voglio fare un passo indietro e parlare delle OPZIONI, che come è noto, sono state decise nel 1939 e precisamente il 22 giugno in un incontro fra Mussolini e Hitler, per risolvere il contenzioso sull’Alto Adige e alle isole tedesche e ladine presenti in Italia.
Mio padre Alfredo (Alfred) che era nato a Trafoi (BZ) in una famiglia naturalmente tedesca con cinque fratelli ed una sorella e aveva studiato a Bressanone. Tornato a casa, aveva iniziato a lavorare a Silandro in ufficio postale dove il gerente era il vecchio Benedikter: qui conobbe mia mamma, si sposarono nel 1933. Dopo aver gestito l’ufficio postale di Trafoi e avuto notizia che la sua corrispondenza veniva controllata dalla polizia, ha avuto sentore che si stava studiando il modo per trasferire i Sudtirolesi in Germania o in Austria, altri invece affermavano che sarebbero stati mandati alla foce del Po o in Sicilia.
Ecco allora che mio padre, venuto a conoscenza, che si era liberato un posto di gerente (così si chiamavano a quel tempo i titolare degli uffici postali locali) a Canazei in provincia di Trento dove non c’era pericolo di opzioni, ha accolto l’occasione e si è trasferito con mia mamma e lì è nata mia sorella Elsa. Era l’anno 1936. Nel frattempo in Alto Adige si era già mossa la propaganda, specie tedesca, che informava che coloro che non optavano potevano essere portati in massa in provincie italiane. Mio nonno Anton guida alpina della val Venosta, aveva una pensione a Trafoi, ma con l’annessione della Regione al Regno d’Italia, il paese dei tre confini (Austria, Svizzera e Italia) aveva perso importanza. Dei cinque fratelli di mio padre due optarono per la Germania, altri tre rimasero in Italia: mio padre, lo zio Maurizio e la zia Carolina, morta nel 1996 a Merano. “Dableiber” erano chiamati con disprezzo dagli “optanten”, che era come dare loro dei traditori. A causa della guerra e delle opzioni molte famiglie si sono sfasciate come quella di mio padre.
Con la situazione che era determinata con il tragico accordo Mussolini e Hitler di spartirsi l’Europa, gli altoatesini di lingua tedesca avrebbero dovuto andarsene dal Sudtirolo e “optare” per il Terzo Reich. In cambio avrebbero ottenuto indennizzi in denaro o una fattoria, nelle terre nei Sudeti (nell’attuale repubblica Ceca) requisite alle popolazioni conquistate dalla Wermacht.
Chi non optava era malvisto. Come scrisse il prof. Josef Gelmi sul quotidiano di lingua tedesca “Dolomiten” (il 24 novembre 2012), il principe vescovo di Bressanone Johannes Geisler e il vicario generale Alois Pompanin, erano i maggiori sostenitori delle “Option” contro i “Dableiber”.
A proposito di questa situazione, in valle d’Isarco, molti hanno optato per la Germania, fra cui l’ex gerente dell’ufficio postale di Fortezza che ho conosciuto nel mio girovagare per la val Pusteria a Monguelfo e che conosceva mio padre. Lui aveva optato per la Germania a causa dell’infausta propaganda ed aveva anche avuto l’incarico di ispettore, ma alla fine della guerra ha preferito tornare in Italia, perché fuori era indicato come nazista e malvisto. Invece certamente non era nazista, anzi, era una brava persona come mi aveva assicurato mio padre. Purtroppo molti sacerdoti erano d’accordo con l’alta gerarchia della diocesi di Bressanone e quei pochi contrari erano emarginati.
Nella diocesi di Trento, che comprendeva anche Bolzano, Merano e la Bassa Atesina, non c’è stata alcuna pressione grazie al vescovo Celestino Endrici, persona che anche per altri motivi il regime voleva sospendere. Da sottolineare che ben oltre l’85% dei censiti altoatesini optarono per la Germania, un fiume, che certamente non è stato un buon segnale per il fascismo, tanto è vero che il Prefetto di allora fu sollevato.
Alla fine per loro fortuna, solo in 75.000 circa sono effettivamente partiti a causa della guerra distribuiti per la maggior parte in Polonia e in Romania. Molti di loro dopo la guerra hanno chiesto di tornare in Italia, ma qui si sono trovati apolidi e senza mezzi.
Quando anche gli uffici postali periferici (uffici locali) sono diventati statali come gli uffici principali, mio padre è stato nominato direttore dell’ufficio postale di Malles Venosta. Qui è nata mia sorella Anna Marcella nel 1952 avuta dalla seconda moglie. Non essendo molto benvisto per aver sposato italiane, il papà poi ha chiesto di ritornare a Tione, perché voleva trasferirsi in provincia di Trento. Il Consiglio comunale di Malles, venuto a conoscenza della domanda di trasferimento, gli ha chiesto di ritirarla, ma ormai aveva avuto l’accettazione della richiesta e non ha voluto rinunciare al trasferimento. Quello che mi dispiace in modo particolare è stato l’odio che si era verificato per le opzioni, in particolare gli optanti che odiavano i cosiddetti “Dableiber”.
Per quel che riguarda i Trentini, specie durante i primi dopoguerra, sia della prima, che della seconda guerra mondiale, erano secondo le circostanze indicati come traditori da parte dei tedeschi o filo tedeschi dagli italiani.
Ho avuto anche l’occasione, durante i mie quasi sei anni di servizio quale Ufficiale postale in Val Pusteria e gli oltre otto anni in Val Gardena, di conoscere a fondo la popolazione. In Pusteria ho avuto il modo di parlare anche in tedesco con un “Bauer” (così erano chiamati i proprietari dei masi, NdR) , il quale ogni volta mi raccontava come si viveva nei masi della valle dei Molini specie con il bestiame. Ma quello che mi ha sorpreso ogni volta che mi veniva a trovare era che si soffermava sul pericolo cinese e non dei russi anche se a quel tempo (siamo nel 1966!) c’era ancora la cortina di ferro. A San Candido con l’Alpenverein ho avuto il modo di fare qualche bella gita in montagna sui “Baranci”, mentre a Selva dei Molini, con il parroco Josef von Ziglauer, ho avuto il modo di visitare diversi masi della vallata e parlare con gli abitanti e il parroco mi spiegava che la gente del posto era buona ed erano vicini alla chiesa. Inoltre mai di loro spontaneità avrebbero lasciato la loro Heimat se non minacciati. Von Ziglauer aveva studiato a Roma ed aveva una preparazione di carattere europeo al sopra di tutti sacerdoti che ho conosciuto. A Selva Gardena invece ho avuto l’onere e l’onore di dirigere l’ufficio postale, che durante i Campionati Mondiali di sci, era il centro dell’organizzazione. A quel tempo l’Ufficio Postale era di vitale importanza, non c’erano ancora telefonini o i fax e tutte le notizie s’inviavano e si ricevevano via telex, senza contare i quintali di cartoline che dovevano essere timbrate e smistate in tutto il mondo. … (continua)