Nel post pandemia cambierà la produzione ed il commercio mondiale
Negli anni novanta il commercio mondiale era concentrato nei paesi occidentali, in particolare Europa ed America del nord. Una popolazione di circa 800 milioni di abitanti poteva contare su un sistema manifatturiero che produceva la maggior parte dei beni necessari.
Lo sviluppo della tecnologia negli anni aveva contribuito a migliorare l’efficienza nella produzione, ridurre i tempi ed incrementare le quantità prodotte.
Questi aspetti innovativi fecero emergere un problema di eccesso di produttività del sistema e quindi la necessità di spingersi verso un commercio mondiale. Si introdusse il concetto di globalizzazione. In poco tempo le maggiori aziende Europee e Usa trasferirono la loro produzione in asia ed in particolare in Cina. La veloce industrializzazione cinese degli anni 2000 ha spinto le aziende sempre di più verso una competizione basata sul contenimento dei costi di produzione e gradualmente la Cina divenne il paese dove si è concentrata la produzione della maggior parte dei beni, il “capannone del mondo”.
Questo sviluppo industriale ha coinvolto anche altri paesi asiatici, come ad esempio la Corea del sud. Gradualmente le aziende italiane, ma in generale tutte quelle occidentali, sono passate dalla produzione di tutte le componenti necessarie per realizzare un determinato bene (ad esempio un’automobile), al semplice assemblaggio di componenti prodotte in asia.
Questo cambiamento è stato generale ed ha coinvolto sia i prodotti a scarso valore aggiunto, ma anche prodotti più complessi con un alto livello tecnologico. Per quest’ultimi si è spesso optato per un mix di produzione che va da una serie componenti prodotti in Cina ed altri a livello locale. Tutto questo ha funzionato a gonfie vele per anni (vedasi in allegato grafico A che rappresenta lo sviluppo dei trasporti mondiali con l’utilizzo dei container). Questo meccanismo ha avuto uno shock con la pandemia, infatti quest’ultima inizialmente ha provocato un blocco per diversi mesi dei trasporti navali e poi una brusca ripartenza. La ripartenza non è stata indolore, in quanto per effetto della domanda/offerta, il prezzo dei noli marittimi è esploso e ha provocato un incremento dei costi, ma soprattutto uno shock nelle forniture.Se prendiamo ad esempio il settore auto tedesco notiamo che la forte crisi in atto è dovuta alla difficolta nelle consegne di auto (linea rossa del grafico B) rispetto a quelle ordinate (linea azzurra). Tutto questo per effetto della mancanza di semiconduttori che in effetti sono prodotti in prevalenza in Taiwan e in Corea del sud. Ricordiamoci che il settore auto pesa sul DGP tedesco per il 10% e l’intero settore manifatturiero per il 25%. La considerazione che emerge è che i paesi occidentali hanno commesso un grave errore strategico lasciando che le produzioni, in particolare quelle fondamentali per i singoli paesi, siano prodotte in prevalenza o ancor peggio in esclusiva, nei paesi asiatici! La crisi pandemica ha “scoperchiato” questa problematica che evidenzia una fragilità dell’economia occidentale. Secondo alcuni analisti l’occidente ha imparato la lezione e siamo di fronte ad un punto di svolta che cambierà le cose nei prossimi anni. In effetti ci sono anche altri fattori che contribuiranno a determinare un cambiamento, precisamente:
- la necessità della Cina di ridurre gradualmente l’inquinamento e quindi di conseguenza anche la produzione industriale;
- la scelta del partito comunista cinese di concentrarsi su un miglioramento della qualità della vita dei cinesi stessi e meno sulle esportazioni;
- la consapevolezza per molti governi che sia necessario riportare nel proprio paese le produzioni industriali strategiche per evitare futuri shock da mancanza di componentistica.
È quindi probabile attendersi nei prossimi anni un cambiamento del sistema produttivo mondiale con conseguenze che incideranno sulle scelte di ogni singolo paese. Del resto, pensare che uno o pochi paesi siano gli unici delegati alla produzione mondiale, non è una gran pensata. Va anche considerato che il cambiamento porterà a delle conseguenze, in particolare è probabile che finita la fase di fornitura di una notevole quantità di prodotti a basso costo da parte della Cina, l’inflazione ritorni a dei valori “normali”. Si sa, c’è sempre il rovescio della medaglia, ma comunque quello che si prospetta è più in linea con la normalità. Questi cambiamenti impatteranno notevolmente anche sui mercati finanziari globali, i quali si muovono anticipando i trend macroeconomici e gli scenari geopolitici. Un’attenta consulenza e la flessibilità di movimento saranno sempre più importanti nella gestione degli investimenti.