L’arte di catturare la luce, “la fotografia”
Eccomi di nuovo a voi, lettori de “IL MELO”, e questa volta parleremo di fotografia ovvero l’arte di catturare la luce.
Fotografia quale arte narrativa
La fotografia è arte, l’artista è il fotografo: colui che dipinge attraverso l’obiettivo; colui che provoca stupore nell’osservatore attento, che suscita emozioni. Pensiamo alla sensazione di pace nell’osservare l’istantanea di un paesaggio, di un tramonto, del ritratto delicato di un bimbo, delle forme armoniose di un profilo femminile. Pensiamo, ancora, alla sensazione di dolce malinconia nell’osservare un “bianco e nero” di mani nodose a testimonianza di una vita dedicata al lavoro ed alle tribolazioni di un’esistenza. Considerate la disperazione che trasmettono le foto dei campi di sterminio e violenze dell’uomo sull’uomo! La fotografia è un’arte e come tutte le arti è soggetta al suo “narratore”. I fotografi, come i poeti e i pittori, descrivono una realtà che non è la verità vera, bensì una loro interpretazione. La verità, la filosofia insegna, è una chimera. Tutto nell’universo è solo un’illusione raccontata dal narratore e rielaborata nell’intimo individuale. Poesia, filosofia, ma tutte le arti dipingono delle realtà, inviano messaggi a cuori a menti che producono realtà individuali in caroselli infiniti di suggestioni e di emozioni.
Sfogliando un album di Sebastião Salgado ci si rende conto quanto un’istantanea, un ritratto racconti più di uno scritto, di una poesia, di un dipinto.
La storia
La fotografia ha una storia relativamente recente: la data di nascita “ufficiale” risale al 9 luglio 1839 quando a Louis Jacque Mandè Daguerre viene concesso il brevetto dall’Accademia delle Scienze di Parigi.
La fotografia fino al secondo dopoguerra è in bianco e nero. Il colore fu introdotto dalla Kodacolor del 1941 con la Ektacolor messa in commercio nel 1947.
Si utilizzava prevalentemente il rullino e riproduzione stampata su carta.
Solo nel 1975 Steven Sasson, ricercatore Kodak iniziava a lavorare alla realizzazione della prima fotocamera digitale. Il primo prototipo registrava su una cassetta. Sasson lavorò sulla tecnologia CCD per la conversione della luce in segnali elettrici.
Il principio fotografico
La fotocamera, fondamentalmente, è una “scatola” a tenuta di luce, con un foro davanti. Da questi entra la luce che va a “sbattere” sulla parete opposta dove c’è il fotoricettore. In origine i fotoricettori erano su lastre di vetro, sostituite con i rullini in bianco e nero e poi a colori. Con l’avvento del digitale tutto si è semplificato: sviluppo e stampa sono spariti. Oggi “scattare” sul cellulare è operazione banale eseguita miliardi di volte in un giorno. Non è sempre stato così! Ricordo gli approcci negli anni ‘70, la trepidazione tra consegna del rullino e stampa.
Negli anni ‘90, ad inizio commercializzazione delle fotocamere digitali, mi precipitai in un negozio di elettronica per informazioni. Il commesso, fotoamatore esperto, con riluttanza mi mostrò l’unico esemplare in negozio, sentenziando: “posso dargliela sottocosto, in quanto il digitale non ha futuro, non potrà mai competere con la pellicola”.
Mai previsione fu così errata!
Acquistai la fotocamera e continuai a fare pessime fotografie, come e forse peggio delle migliaia scattate su pellicola. Si, io vi parlo di fotografia, di questa mia passione, ma anche della consapevolezza di essere un pessimo fotografo; per essere un artista non bastano tecnica e passione! Torniamo alla nostra “scatola” fotografica.
Del fotoricettore (sensore digitale) abbiamo già detto. Vediamo ora il “buco” dal quale entra la luce. Questi non è un semplice buco, bensì un foro dalle dimensioni variabili (diaframma) con davanti un sistema di lenti a “spingere” la luce all’interno della scatola: l’obiettivo. Dietro l’obiettivo si trova un “tappo” che fa entrare la luce per un tempo limitato: l’otturatore.
Un ultimo sforzo per definire un nuovo parametro da tenere in considerazione: la sensibilità ISO del fotoricettore.
La “manipolazione” di questi 3 parametri (sensibilità, tempo di posa e diaframma) è quella che decide se dietro l’obiettivo sta un artista od un semplice “pigiabottoni”.
Ora vi deluderò! Gli smartphone e le sofisticate fotocamere automatiche, non fanno un fotografo! La vera fotografia è quella manuale dove chi scatta decide i parametri da impostare per ottenere l’effetto voluto e non quello delegato al software del telefono!
La tecnica
Mettiamoci al lavoro! Se avete in mano un telefono od una fotocamera automatica potete saltare le prossime righe: i software sempre più sofisticati e precisi faranno il lavoro in vostra vece. Siate consapevoli però che è il telefono a fotografare. Il vostro ruolo? Il “pigia bottoni”.
Apprestiamoci a fotografare dopo aver disattivato tutti gli automatismi: decidiamo se c’è luce sufficiente. Se siamo in ambiente o condizione di luce scarsa ragioniamo se aumentare un po’ la sensibilità del sensore: ISO 100 o 200 sono quelle standard. Se aumentiamo, il sensore è più sensibile alla luce fioca, ma! Ma c’è un risvolto: più aumenta la sensibilità più si nota la grana, ossia un disturbo della nitidezza dell’immagine. Questo parametro dipende dalla qualità della vostra fotocamera. Normalmente fino ad ISO 800 il disturbo è tollerabile, oltre è da valutare.
Decidiamo per quanto tempo aprire l’otturatore. Qui entra in ballo il tipo di fotografia che facciamo. Per foto sportive o per congelare movimenti dobbiamo ragionare su tempi di posa inferiori ad un cinquecentesimo o millesimo di secondo, per paesaggi o soggetti statici dal 40.mo. al 250.mo di secondo. Per ottenere dei mossi artistici (acque che scorrono, atleti in corsa. ecc.) tempi inferiori al 40.mo. di secondo. Per fotografie notturne od astronomiche la posa può protrarsi per più secondi o minuti. In questo caso però dovremo far uso di un cavalletto per evitare “il mosso”.
Quanta luce deve entrare? Impostata la sensibilità ISO e la velocità dell’otturatore dobbiamo capire quanto aprire il buco che, tradotto in termine tecnico, vuol dire quanto aprire il diaframma. Esso si chiude a piccoli scatti (f/stop). ad ogni stop la luce che entra è dimezzata. Questi gli f/stop del diaframma: f1, f1.4, f2, f2.8, f4, f5.6, f8, f11, f16, f22, f32, f45, f64.
Se abbiamo impostato un tempo di apertura basso per poter far entrare la luce sufficiente a sollecitare il sensore dobbiamo aprire molto il diaframma.
Se invece abbiamo deciso di utilizzare un tempo di esposizione lungo il diaframma deve chiudersi per non “bruciare” la foto. Ed è su questi equilibri: sensibilità ISO, tempi di posa ed apertura del diaframma che sta il confine tra arte e dilettantismo, è su questi parametri che si distingue il poeta dallo scribacchino!
I puristi della fotografia obietteranno certamente che ho omesso concetti quali profondità di campo, gamma dinamica, focale e via dicendo…
La mia risposta? Lapidaria: questo è solo un articolo, non l’enciclopedia della fotografia!
Buon 2022!