Il quarantotto in Val di Sole
Quando si dice “far ‘n quarantaòt”, immediatamente si pensa ad uno straordinario disordine, ad un buttare tutto all’aria. La frase è legata alle vicende europee del 1848, quando i popoli, all’improvviso, si svegliarono da un torpore secolare e diedero vita ad una fiammata rivoluzionaria che mise in forse i governi e la situazione politico-sociale stabilita dalla Restaurazione (Congresso di Vienna del 1815).
Da Parigi a Vienna, da Praga a Berlino, al Lombardo-Veneto, a parecchie città degli Stati italiani, all’Ungheria fu una primavera di speranze. Il nazionalismo faceva la sua prova generale. Anche il Trentino fu toccato dall’ondata di ribellione contro l’autorità statale austriaca: la città capoluogo iniziò la sua rivolta il giorno di S. Giuseppe, buttando nell’Adige i casotti del dazio, al canto di “Evviva Pio IX – disceso dal trono – la patria a salvar”. Vi furono assalti alle caserme, colpi di fucile, due morti ammazzati. L’insurrezione si chetò qualche settimana dopo: ma se ne ebbe uno strascico tragico il 16 aprile, quando il col. Zobel fece giustiziare i 21 insorti presi a S. Massenza; essi furono fucilati nonostante l’appello del Vescovo de Tschiderer.
La Val di Sole e la contigua Val di Non furono direttamente coinvolte nel moto; erano ritenute dai rivoluzionari filo-piemontesi una via agevole per scendere verso la Val d’Adige a Mezzolombardo, tagliando la strada del Brennero ai rinforzi militari che andavano a dar man forte al Radetzky chiuso nel Quadrilatero (le città Verona – Peschiera e Mantova – Legnago, NdR).
Lungo le direttrici del Tonale e di Campiglio confluirono su Malé a metà aprile due colonne chiamate di “Corpi franchi”, comandate dal cap. Gianmaria Scotti. Si trattava di alcune centinaia di uomini, provenienti da Val Camonica, Valtellina e zona di Bergamo. Il 14 aprile fu innalzato a Malé l’albero della libertà, coronato dal berretto frigio (uno dei simboli della Rivoluzione Francese del 1789, NdR); il giorno successivo l’albero fu elevato a Cles, ad opera dei volontari bergamaschi. Il 16 aprile a Malé venne dichiarato decaduto per sempre il governo austriaco. Un comitato di sicurezza pubblica cominciò l’arruolamento dei solandri: compresi quelli della Val di Non, in tutto erano 68 giovani, inesperti di armi ed animati da ideali mazziniani. A capo c’erano l’avv. Taddei, con il grado di capitano, ed i tenenti Catturani, Bevilacqua e De Gasperi, oltre al sottotenente de Martini.
La rivolta – più partecipata dalla borghesia che dalla gente – forse avrebbe avuto fortuna se le comunicazioni tra le varie colonne dei “Corpi franchi” fossero state buone. Purtroppo per loro, si procedeva in base a speranze e congetture, ed a loro insaputa gli austriaci stavano reagendo vigorosamente al pericolo. Il generale austriaco Welden aveva ormai steso il suo piano, per bloccare e respingere gli armati dalla Val di Non e da quella di Sole, progettando contemporaneamente il disarmo dei rivoltosi trentini. Il cap. Scotti non ottenne il consenso popolare che si attendeva: a Cles il consiglio comunale bocciò la nascita d’un governo provvisorio. A ciò si aggiunga che i volontari nònesi erano pochissimi. L’esercito austriaco, così, non ebbe grandi ostacoli a mettere in atto il suo piano, affidato al col. Melczer: risalire dalla Rocchetta e dalla Mendola per riprendere il controllo delle valli. Con una mossa a sorpresa, gli imperiali si impadronirono del ponte di Mostizzolo. Dopo una scaramuccia a Cles i “Corpi franchi” presero la via del Faé, per ritornare in Val di Sole, dove i compagni li aspettavano. Uno degli insorti, padovano, fu fatto prigioniero e fucilato dagli austriaci a Mostizzolo.
Il capo dei rivoltosi clesiani, Girolamo Dal Lago, venne arrestato e portato in catene prima a Bolzano, poi a Bressanone col padre. Visto il frangente, il cap. Taddei, che guidava una colonna di 300 volontari della Val Camonica, si diresse in tutta fretta verso Cles, ma a Caldes incontrò l’avanguardia dei “Corpi franchi” in ritirata. Era la sera del 19 aprile 1848. Nella notte, le tre sorelle del Taddei ed altre giovani donne prepararono una riserva di cartucce, data la penuria di munizioni di cui gli insorti soffrivano. Venne quindi sbarrato alla meglio il ponte sul Rabbiés sotto Magras. Nel frattempo gli austriaci, circa 600 fra soldati del reggimento Baden con una ventina di cavalleggeri, e truppe stanziali (i “gabanòti”), provvisti anche di due cannoni e di un obice, si attestarono sui prati di Magras (l’artiglieria era presso l’attuale convento dei Cappuccini) di fronte a Malé. Il giorno successivo, 20 aprile, alle 8.30 cominciò la battaglia tra le forze contrapposte di qua e di là del Rabbiés. Era un giorno di pioggia, freddo e uggioso. Si sparò per circa un’ora. Appena gli austriaci aprirono il fuoco con i cannoni e l’obice, i volontari fuggirono a precipizio dal posto di combattimento. Gli insorti giudicariesi, guidati dal dott. Ciolli di Samoclevo, spaventatissimi, abbandonarono il ponte sul Noce a Sud del Pondasio e si ritirarono, consentendo ai soldati austriaci di iniziare una manovra di accerchiamento verso S. Biagio e le passerelle sul torrente. In meno di un paio d’ore, prima delle 10, il combattimento si smorzò.
Gli imperiali – dopo aver messo in fuga i “Corpi franchi” – rastrellarono l’abitato di Malé saccheggiando le case dei Taddei e del Fiorini, capi dell’insurrezione. Nella battaglia erano rimasti feriti sette volontari e due erano deceduti. Altri cinque – tre della Val Camonica e due disertori del reggimento Este ancora in divisa – che si erano nascosti in chiesa, furono fatti prigionieri e subito condannati alla fucilazione. La sentenza venne eseguita contro i due disertori ed un volontario presso un muretto a Nord dell’abitato subito a valle della strada statale. Agli altri due il col. Melczer concesse d’aver salva la vita, perché non valevano neanche la cartuccia della fucilazione. Il decano di Malé nel III Libro dei Morti descrive così l’accaduto: “Funestissima promemoria. Li 20 aprile del 1848 giorno di Giovedì Santo successe ai confini di Malé verso Magràs e Terzolàs una battaglia assai luttuosa fra l’i. r. truppe austriache e i così detti ‘Corpi franchi’ italiani, e di questi sono stati fucilati a Malé tre uomini che credonsi oriundi di Valcamonica, alle ore 10 circa antimeridiane, li quali poi li 21 detto aprile giorno di Venerdì Santo alle 11.30 vennero uno dopo l’altro seppelliti nel cimitero di Malé. La battaglia però per fortuna durò poco tempo, poiché l’inaspettato tuono dei cannoni austriaci mise in precipitosa fuga i Corpi franchi, chi verso la selva e la più parte verso il monte Tonale alle ore 11 circa antimeridiane. Altrimenti povero… Iddio lo sa… povero Malé! il quale però specialmente in alcune case sofferse gravissimi danni”. La nota è del decano don Giuseppe Concini, che al tempo della battaglia trovavasi atterrito nella sua canonica con i suoi cooperatori don Gio. Dalpiaz, don Matteo Ravelli, con suo nipote Benvenuto Concini di Tuenno e colle sue econome Luigia e Caterina Slop di Trento, vedove: quasi tutta la gente di Malé era fuggita ed aveva abbandonato le sue case. I superstiti dello scontro, incalzati blandamente dalle truppe austriache, si diressero sotto una bufera di neve in gruppo verso Campiglio e la maggior parte verso il Tonale, dove giunsero alle 11 di sera. Il 21 aprile, Venerdì Santo, alle 6 di mattina erano a Ponte di Legno. Finiva in tal modo, con una fuga che mise in cattiva luce i capi dei “Corpi franchi”, il tentativo ideologicamente generoso ma tecnicamente ingenuo di tagliare la strada all’esercito austriaco in Val d’Adige.
Il 25-26 luglio 1848 la sconfitta piemontese di Custoza chiuse, per il momento, le speranze coltivate dai patrioti italiani e locali di fondare una nazione coerente per lingua, cultura ed interessi economici.