Inflazione alta e fiducia dei consumatori bassa

Inflazione alta e fiducia dei consumatori bassa

Un rischio per l’uscita dalla crisi

Sta proseguendo a ritmo sostenuto la corsa dei prezzi, che nel nostro Paese sono cresciuti a ottobre dello 0,7% rispetto a settembre, ovvero +3% rispetto ad un anno fa. Anche mettendo da parte il settore dell’edilizia, i cui prezzi sono cresciuti a dismisura anche a causa degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni, ogni prezzo è salito: dal carburante ai generi alimentari, dai beni di prima necessità ai bene durevoli. Questo balzo è ben evidente nel grafico qui a fianco: livelli così alti di inflazione non si vedevano da prima della crisi del 2008 (tranne che per il Regno Unito) o, peggio ancora, dalla fine degli anni ’90. Certo, siamo ancora ben lontani dai valori degli anni ’70, ma lo shock è dato anche dalla velocità con cui è salita l’inflazione. Quella che all’inizio era un’impennata dei prezzi dell’energia ora a cascata si sta trasmettendo a tutti i prodotti e servizi.

Nel frattempo, il sentiment dei consumatori è sceso sotto il minimo del 2020, raggiungendo un valore di 66,8 (era 101 a febbraio 2020, prima della pandemia). In aprile di quest’anno, sulla spinta della campagna vaccinale e del calo dei contagi era risalito fino a 88 e sembrava diretto a riprendere i livelli pre-covid, ora invece con i timori di nuovi lockdown, come ad esempio in Austria, la sfiducia verso un’uscita veloce dalla crisi è tornata a farsi sentire.

La combinazione di inflazione, preoccupazione dei consumatori e nuovi lockdown rischiano di impattare in modo negativo il livello dei consumi nei prossimi mesi, rallentando la ripresa economica.

Variazione % dell’indice dei prezzi anno su anno

Come funzionano le obbligazioni indicizzate all’inflazione?

1° gennaio 1780, Commonwealth of Massachusetts – USA, nel mezzo della Guerra d’indipendenza americana vengono emesse le “Soldiers’ depreciation notes” per il pagamento dei soldati, ovvero delle obbligazioni il cui pagamento di capitale e interessi era indicizzato ai prezzi di un paniere di beni (mais, carne, ecc.). Già dalla fine del 1600, le ingenti spese militari avevano costretto la colonia Massachusetts Bay a emettere obbligazioni al portatore per pagare i militari, che venivano poi da loro utilizzate come mezzi di pagamento. L’eccessiva emissione di debito creò instabilità dei prezzi e quindi decisero di emettere le prime ufficiali obbligazioni inflation linked.

Ad oggi, il totale delle obbligazioni legate all’inflazione ha superato i 3.000 miliardi di dollari nel mondo, ma come funzionano?

Prendiamo ad esempio un titolo italiano: il BTP Italia con scadenza maggio 2025. È un titolo che ha un tasso fisso pari all’1,4% ed è indicizzato all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati (FOI) con esclusione dei tabacchi. Ogni sei mesi vengono quindi pagati agli investitori: la cedola al tasso fisso rivalutata in base all’indice dei prezzi FOI e la rivalutazione del capitale investito. Alla scadenza rimborserà solo il capitale investito.

Al 22 novembre il tasso di rendimento previsto a scadenza di questo BTP Italia era dell’1,67% annuo, di molto superiore rispetto al BTP non indicizzato all’inflazione, che aveva un rendimento invece negativo: -0,13%. Questo perché il BTP Italia prevede che l’inflazione da oggi al 2025 sarà pari all’1,167% annuo.

Il rendimento stimato è decisamente più interessante, vanno però fatte alcune precisazioni:

  • Se l’inflazione sarà inferiore a quella stimata, il rendimento sarà inferiore, e viceversa;
  • È un titolo a tasso fisso, quindi in caso di rialzo dei tassi il prezzo del titolo scende: una crescita dell’1% del tasso a 4 anni determinerebbe un calo del 2,4% del prezzo dell’obbligazione. Questo aspetto assume maggiore rilevanza se si prende un titolo con scadenza più lunga come il BTPI 2041.

Obbligazionari Paesi emergenti, molti fondi con rendimenti negativi da inizio anno

In un contesto di tassi europei negativi e tassi americani positivi ma relativamente bassi, le obbligazioni dei Paesi emergenti offrono tassi decisamente più interessanti. Tassi alti significa però anche maggiore rischio, che spesso viene sottovalutato.

Il modo dell’obbligazionario emergente è molto ampio: vi sono i titoli di stato in valuta locale e quelli in valuta forte (es. dollaro USA), le obbligazioni corporate di aziende più o meno “sane”, quest’ultime anche definite ad alto rendimento. Spesso il nome del fondo non è molto esplicativo di cosa effettivamente acquista, ma si ferma ad una limitazione geografica.

Nella tabella sotto riportata abbiamo analizzato alcuni fondi delle principali società di gestione internazionali e li abbiamo confrontati secondo alcuni parametri: a) se c’è la copertura del rischio di cambio tra l’euro e le divise dei titoli presenti nel fondo, e b) il rating dei titoli acquistati (nell’ordine partendo dal rating dall’azienda più sana: AAA, AA, A, BBB, BB, B, CCC, CC, C, D. A partire dal rating BB sono titoli “speculativi o high yield). Per ciascuno è stato indicato il rendimento dal primo gennaio al 19 novembre 2021. 5 su 6 sono negativi, e alcuni fortemente negativi se consideriamo che sono in ogni caso fondi obbligazionari quindi la percezione di un risparmiatore medio è che siano strumenti “sicuri”.

Tale andamento è sicuramente influenzato dalla situazione delle società immobiliari cinesi, forse il peggio è passato e i prezzi considerano già il rischio di fallimento di alcune società, in ogni caso è l’occasione per considerare correttamente il rischio effettivo di questi investimenti.

Giorgio Leonardi