Al me pais
Sono tantissime le leggende associate ai nostri paesi o addirittura ai nostri vicoli. Chissà se ancora oggi ci ricordiamo di quale leggenda è associata al nostro paesino. In questa pagina ve ne riporto alcune. Buona lettura!
Bolentina
Molto tempo fa c’era un solo modo per avere salva la vita, quando infuriava la peste: scappare, fuggire, abbandonare la famiglia, i propri cari, le bestie e i campi e trovare rifugio in un luogo isolato dal mondo.
Accadde, quindi, che quando il morbo giunse anche a Bolentina, un uomo sparì di casa senza lasciare un saluto, senza una parola d’addio: s’inerpicò su per una montagna finchè trovò una profonda caverna e lì si rintanò, cibandosi di radici e di frutti di bosco.
… Molte e … molte settimane dopo, ritenendo che la pesta avesse esaurito la sua carica mortale, il poveretto tornò in paese e vi trovò solo lutti, pianti e rimpianti. Dalla caverna lui non parlò a nessuno, portandosi il segreto nella tomba, alcuni anni più tardi.
Quasi un secolo dopo un pastore perse una pecora proprio su quella stessa montagna: la cercò a lungo, seguendo l’esile lamento della bestia che doveva essere imprigionata chissà dove. Là trovò, alla fine, proprio nella grotta che aveva ospitato l’uomo fuggito dalla peste, del quale si rinvennero un coltello, un pentolino e un cucchiaio di legno. Da allora la caverna venne chiamata “el Cròz del biòt”.
Castelfondo
Doveva essere proprio una gran brutta vita, quella di un tempo, se anche per fare del semplice burro bisognava stare attenti alle streghe!
Poteva infatti accadere che la povera donna di casa, dopo aver lavorato per ore e ore allo sdèl, per un attimo di disattenzione o per aver lasciato incustodito il burro un solo istante, si ritrovasse solo tra le mani dell’inutile siero di latte.
La colpa era delle streghe, che avevano approfittato della sua distrazione per rovinare il lavoro di mezza giornata!
Comunque, per contrastare quei sortilegi, venne presa l’abitudine di tracciare un segno di croce sullo sdèl prima di cominciare a lavorare la panna. E il buon burro, da allora, tornò a insaporire i cibi della gente di Castelfondo.
Croviana
Quasi tutti i castelli trentini possono vantare gallerie e passaggi segreti, in cui sono nascosti favolosi tesori custoditi da diavoli e mostri feroci. E il castello di Pezzèn, a Croviana, non è da meno: un lungo sotterraneo, dicono le leggende, lo avrebbe messo in comunicazione con le cantine della casa dei Mori, in paese, e proprio in quella galleria si sarebbe un giorno nascosto con il proprio cavallo uno dei Mori, ricercato dai gendarmi per chissà quale malefatta. Una donna, però, lo tradì e il malcapitato venne arrestato e tradotto a Vienna per il processo. La cosa avrebbe seguito il suo corso con chissà quale condanna, se la madre del disgraziato non si fosse intestardita nel tentativo di tirar fuori il figlio dai guai. La poveretta raccolse tutti i soldi che possedeva, lì mise in una borsa, che cucì nell’orlo della gonna, e prese la strada per Vienna. Lì, tanto fece e tanto si disperò, che alla fine riuscì a impietosire i giudici: il riscatto venne accettato e il figlio scarcerato.
Revò
Nelle notti tiepidi di autunno o in quelle afose di estate, i malcapitati che dormivano nei casolari lungo il rio di San Vito venivano svegliati da un rumore infernale di carri cigolanti, di cani ululanti e di cavalli al galoppo che scendevano verso i Frari. Era la terribile Càza mata, che distruggeva ogni cosa al suo passaggio. Guai al disgraziato che avesse osato metter piede fuori dalla baita: sarebbe stato travolto e fatto a pezzi da quella furia satanica e il corpo a brandelli sarebbe stato ritrovato il giorno dopo a valle, a miglia e miglia di distanza. Conveniva, invece, restarsene ben bene tappati in casa, recitando preghiere e litanie, nella speranza che la càza mata sparisse nella selva al più presto.
Vìcoi
Vìcoi de la me zità
che squasi a scondiléver
zughé fra strade e piazze
strachi dei véci muri
pieni ancor de quei
che gavé dat la vita,
vìcoi che fra i sassi,
gelosi, ancor scondé
serenàde d’amor
a zoventù sfumada
lasséme anca a mi
sbrissàr fra de voi
e robarve ‘l sussùr
de na bela canzon
dal temp desmentegàda
e che quel fil de sol
casca sul salesà
pòda trovarlo ancor
vìcoi de la me zita!
Marco Fontanari
La me tera
El Trentìn, la me tera de montagna
– giàzi, zénge, prài, boschi, valesèle
e fiori – ‘ndó ai me passi se compagna
musiche de useléti, campanèle
de cesate che prega «Avemaria!»
l’una co l’altra, e canti e canti
de zente che laóra ‘n armonìa,
rispetosa de Dio, streta ai so santi.
Dai monti ‘l bon udór de mili fiori
ghe porta a carezarla ‘l ventesèl,
e ‘l sol, fra ‘n mar de luci e de colori,
basi dorai ghe piove dal bèl cel.
E mili prài fioridi, ‘ndove zoga
rìi che i canta la storia de sta zent,
e sora i boschi cròzi che s’enfoga
al sol, e che la luna fa d’arzent.
E, da l’alba al tramonto, ‘n le contrade,
zenf che laóra, e che laoràndo spera
e vive. Eco ‘l Trentin, le me valade,
le pù bele d’Italia: la me tèra!
Nando da Ala