I Cogollesi
Tempo fa dando un’occhiata in bibloteca, mi sono imbattuta in un libro di Mauro Neri “Mille leggende del Trentino”. Ed è proprio sfogliando le pagine di questo volume che ho fatto una piacevole scoperta: sono state individuate e raccolte numerose storielle raccontate in diverse località del trentino. Storielle divertenti, ambientate in un unico immaginario di paese, quello abitato dai Cogollesi. Esse venivano raccontate ai bambini all’inizio del filò, prima di mandarli a dormire. Di seguito vi riporto una storiella dei Cogollesi.
l Cogollesi e l’armadio del sole
C’eran voluti anni e anni di lunghe osservazioni d’estate e d’invero, di interminabili raffreddori a gennaio e di sudate collettive in luglio, ma finalmente l’assemblea dei Cogollesi stabilì una verità sacrosanta
– Cari miei – esordì il sindaco nell’aprire la seduta, – dobbiamo proprio convenire che il sole d’estate è caldo, mentre d’inverno, quando c’è, è più tiepido, quasi freddo. Voi che ne dite?
I Cogollesi si guardarono l’un l’altro e con grandi cenni dichiararono d’esser d’accordo con il loro primo cittadino. D’altronte, fra tutti, il sindaco era senza dubbio il più intelligente!
– E allora – continuò, – che cosa possiamo fare per soffrire meno il freddo nei mesi invernali e respirare un po’ di più in quelli estivi?
– Si potrebbe – azzardò timidamente uno – infilare tre cappotti quando c’è la neve e girare nudi quando il sole è forte in cielo!
– A parte il fatto che io e la mia famiglia non gireremo mai nudi per il paese – intervenne un altro Cogollese, – vuoi mettere quanti soldi dovremmo spendere per acquistare ognuno almeno tre cappotti?
–E se il comune ci comprasse un ombrello ciascuno? In estate saremmo sempre all’ombra e…
– … e in inverno? – lo interruppe un altro, – che cosa te ne fai, in inverno di un ombrello? Lo usi come sciarpa?
– Non rimane altro da fare – concluse il Cogollose che fino a quel momento era rimasto silenzioso in disparte, – che restarcene sempre chiusi in casa! In inverno il calore del focolare ci riscalderà, mentre in estate saremo sempre al fresco, lontani dai raggi del sole…
– Sentite – disse alla fine il sindaco, – tutte belle idee, degne della nostra risaputa intelligenza, ma forse io ho il rimedio che risolverà questo problema.
L’assemblea zittì improvvisamente: quando il sindaco stava per render pubblica una sua idea, bisognava solo ascoltarla e approvarla. Non c’era nulla da fare contro il suo acume e la sua esperienza!
– State a sentire: dobbiamo costruire un enorme armadio, grande come la piazza del nostro paese! Un giorno di piena estate, quando la furia del sole farà impazzire le nostre teste e brucerà le pietre del selciato, lasceremo le ante dell’armadio ben aperte. Poi, all’improvviso, prima che venga la sera, chiuderemo le porte serreando all’interno tutto il calore del sole e le lasceremo ben tappate fino al successivo inverno. Solo allora, di tanto in tanto, proprio quando non ce la faremo più dal gelo, le succhiuderemo quel tanto che basterà a un po’ di tepore estivo per uscire e intiepidire l’aria del nostro paese… E per evitare guai, le chiavi dell’armadio le terrò io! Siete d’accordo?
Un urlo si alzò dalla sala, accompagnato da un frenetico applauso: i Cogollesi approvarono l’idea geniale del borgomastro, tanto che uscirono subito dall’edificio del comune e corsero a cercare assi, chiodi e martelli.
Quell’inverno, finalmente, non avrebbero più patito raffreddori, alla faccia della neve e del gelo!
La storia, purtroppo, non dice che cosa avvenne, il successivo inverno. Noi, che non siamo così intelligenti come i bravi Congollesi, lo possiamo solo immaginare!
El Filò (Giuliano Natali Diaolin)
Sarà n’idea ‘n po’ stramba
no so cossa ch’el sia
ma mi per i filodi
go tanta simpatia.
Me piase quele casote
en mez ala campagna
con tute quele stale
con arent bestie che magna.
L’inverno, con quei fredi
con quele nevegade
se ghe sta dentro destri
come le fuss scaidade.
En quele not sì longhe
cola campagna morta
passando lì en: par d’ore
la sera l’èi pu corta.
Quanti che se conosse
per zente che ara drito
lì i ga la porta averta
senza ‘l biliet d’invito.
Anca ‘n zità ben grande
la zente rafinada
la fa i so bei filodi
en camera scaldada:
S’entende coi so inviti
a tuti i conoscenti;
nessun deve mancarghe
contenti o no contenti!
Na qualche signorina
la canta al pianoforte,
i siori i varda ‘ntorno
pur de trovar le porte.
Chi va ‘n de quelle sale
el sente mili odori,
el se nascorze subit
che l’è tra siori e siori.
Enveze ‘n la campagna
se fa ‘l filò ‘n la stala
con tuti i so profumi
istess che de ‘na sala.
Se sta lì ben, polito;
l’è calt, ne tant ne poch
che do o tre vache ‘n fila
le fa da carbon coch.
Se parla de l’America,
se parla dela guera
se conta su storiele
che sta ne ‘n ziel ne ‘n tera.
Se leze qualche foli
vegnù dala zità
se spiega a voze grossa
le bele novità.
I veci i se ricorda
de ani che è passà,
i zoveni i fa i conti
de quei che vignirà.
Le mame le fa calze,
le fiòle le cosìse, se le pòl,
le manda ociade che ‘ndorblss.
Se ocor se fa conzert:
quando che ‘l temp l’è fosch
se canta tuti insieme
la bela la và al bosch.
Se manca el pianoforte,
ghè ben n’altro strument:
ghè ‘nveze el cagn da guardia
che fa ‘l compagnament!