Delitti e castighi*
L’uomo e sempre identico a sé stesso, dai primordi fino ad oggi. è lui, carne ed ossa, istinto ed intelligenza a fare la storia positiva e negativa del mondo: non quello ideale, immaginato dagli illuministi, che, nato buono, verrebbe rovinato dalla società.
Uomini e donne, quindi, che subiscono e creano violenza, che sono docili o ribelli, che ambiscono a raggiungere – con ogni mezzo – un traguardo. Lavoratori o parassiti, deboli o potenti, giovani o anziani: tutti “tarati” da quell’handicap iniziale chiamato dai cristiani “peccato originale”, che nella sua radice si può definire come una tendenza al male. Chi se ne fa succube, in modo consapevole, diventa un criminale piccolo o grande.
Non esistono perciò “zone franche”, in cui la delinquenza sia sconosciuta o assente. Più o meno, ogni regione, in ogni tempo, è segnata da furti, omicidi, violenze. Una volta mancava la notorietà, che è un portato dei media: ma il marcio esisteva ovunque, come riconosceva Amleto per la sua Danimarca.
Le valli del Noce, nel corso dei secoli, né più né meno che il resto del Trentino, vedono dipanarsi il sordido rosario del male. Esso aveva nei tempi passati un certo freno nella religione e nel timor di Dio, che oggi son merce rara: però la fede cristiana non aveva forza sufficiente a bloccare il crimine, se perfino un prete solandro quarantenne, residente nella zona di Feltre, verso il 1870, fini a Venezia nel carcere duro per rapina a mano armata e percosse.
Da ricordare che fino al secolo precedente i galeotti trentini scontavano la loro pena nelle prigioni o sulle navi da guerra di Venezia. Solo ai tempi del Principe Vescovo Pietro Vigilio Thun, nel 1779, fu aperta la prima casa di pena a Trento, nell’ex-convento dei Domenicani; i detenuti venivano sorvegliati e nutriti con i proventi del Lotto, allora importato in Trentino da Genova.
Negli anni dal 1945 al 1948 la Val di Non fu segnata da fatti sanguinosi: penso alle prodezze dei “partigiani” di Cles, che eliminarono persone innocenti (una venne gettata nel vascone dell’acqua potabile); in alta valle omicidi e rapine lasciarono una scia tremenda. Sul finire della seconda guerra mondiale, militari tedeschi, poveracci che cercavano la via di casa, vennero freddati a Cloz, uccisi al burrone della Rabiola tra Brez e Castelfondo, o attirati con l’inganno sui monti e trucidati (fra Rabbi e Bresimo). Per non dire di quanti furono uccisi dalle truppe d’occupazione (come a Caldes). Non mancarono rapine finite in tragedia: nella Cassa Rurale di Taio e nel Mezzalone.
Qualcuno può darne la colpa al clima di violenza creato dalla guerra. Ma i delitti appartengono ad ogni epoca. Chi non ha sentito nominare il “Taparelàc” di Celentino, un bandito che terminò la sua vita sulla forca a Trento, con i complici, il 7 ottobre 1733?
Cristoforo Tapparelli e Vigilio Ruffini, rei confessi, ebbero la seguente sentenza: “Sieno prima attanagliati con tanaglia infuocata e… l’uno dopo I’altro ruotati a segno tale, che sotto detto supplizio debbano lasciarvi interamente la vita”.
Prima ancora, le storie raccontano di castelli bruciati (1407), di notai assassinati (1477), del conte di Ossana ucciso a furor di popolo. Per non parlare della rivolta dei contadini nel 1525, finita con molte condanne a morte, alla mutilazione o all’esilio.
Nella notte dei tempi si sussurrava della banda che taglieggiava i passanti sul Tonale; e dei monaci di S. Brigida che facevano altrettanto per chi transitava verso Campiglio.
Fu uno choc per tutta Ia Val di Sole la soppressione violenta di Domenica Gaspari, sgozzata dal patrigno a Caldes nel 1828 per motivi di interesse i1 giorno prima delle sue nozze. Qualche decennio prima, era stato trovato a Pondasio, nel torrente Rabbies, il corpo straziato di una ragazza di Rabbi.
Nel corso dell’800 fu condannato a morte Michele Lezzer di Malgolo, di 38 anni, incendiario ed uxoricida, dopo un processo durato nove giorni. Fatti che si ripetono: a Monclassico un padre ammazza a fucilate suo figlio e lo sotterra in cantina; a Vermiglio un uomo accoltellato durante un pranzo di matrimonio: delitti successi nel secolo XX, alcuni decenni or sono.
La cronaca nera é costellata anche di incendi dolosi: i libri parlano di quel certo Casari di Sfruz che appiccava il fuoco a case e chiese net 1824; prima di essere catturato, egli pugnalò a morte il capo delle guardie di Cles.
Non manca nell’elenco dei crimini il contrabbando: ricordo solo il nome del “’frate rasegòt” di Pejo, quel Giovanni Antonio Chiesa morto a Trento dopo anni di galera nel 1894. Ed era stato compagno di scalate di Julius Payer, I’alpinista boemo che per primo raggiunse le vette del gruppo Ortles-Cevedale verso il 1867.
Sono ancora ricordati furti famosi. come quello perpetrato per depredare la tomba dei Pèzzen nella chiesa di Croviana intorno al 1790. Un posto di rilievo occupano i furti recenti. che spogliarono molte chiese dei loro arredi (per tutti, ricordo solo Monclassico, che in una note di S. Lucia durante gli anni ‘80 vide sparire 33 statuette di grande valore storico e artistico). Qualche solandro andava a farsi ammazzare fuori valle, come accadde al povero Giovanni Battista Fava di Malé, ucciso nella zona del lago d’Iseo mentre pascolava il suo gregge. Delitto d’abigeato con omicidio.
Brutte storie, che fanno assomigliare un passato – dipinto ingenuamente come buono – ad un presente preoccupante e malato.
*Dal vol. “Storie e Storie nelle valli del Noce”
(Tipolitografia STM snc, Fucine di Ossana)