“ERA SETTEMBRE” mi ricordo che…
Per i contadini, SETTEMBRE era un mese abbastanza calmo. Le giornate erano più corte e le temperature più miti. In questo periodo i lavori erano meno impellenti e meno gravosi. Il più urgente era il taglio e la raccolta del terzo fieno (terzòl).
La quantità non era molta, ma richiedeva parecchio lavoro. L’erba si asciugava più lentamente perché era meno caldo. Il sole non era più cocente come d’estate e qualche mattina c’era pure la rugiada. Al tramonto occorreva rastrellare e raccogliere tutta l’erba falciata e ammucchiarla in grandi covoni, quindi occorreva coprirli con teli affinché la guazza notturna non li bagnasse.
Il mattino seguente bisognava disfare i mucchi e stendere nuovamente l’erba sul prato. Così per diversi giorni finché il fieno non era secco e pronto da portare a casa. Dopo l’ultimo falcio l’erba cresceva ancora; per sfruttarla i contadini lasciavano pascolare liberamente il bestiame nei prati. Di solito, il compito della sorveglianza era affidato al ragazzo più giovane della famiglia (bocia). Terminata la raccolta del fieno, si passava alla mietitura del grano saraceno (formenton).
Questa pianta erbacea da noi, ormai, non si coltiva quasi più. Ha un ciclo biologico di circa 80-120 giorni. Al momento della fioritura produce una infiorescenza bianca. I chicchi, macinati, servono per uso commestibile. Originaria della Cina, venne successivamente coltivata anche in Europa, soprattutto nelle località alpine e prealpine, come secondaria rispetto agli altri cereali. I chicchi del grano saraceno sono riconoscibili per il colore mattone scuro. Attualmente, questa pianta delle Poliganacee riscuote un certo interesse principalmente per le sue proprietà nutrizionali. La sua farina è priva di glutine e, quindi, rappresenta un cibo ideale per chi soffre di glicemia.
Allora, però, queste cose non si sapevano. Coltivavano il grano saraceno solamente per integrare le riserve alimentari e per non lasciare i campi incolti. Al momento della maturazione il grano saraceno emanava un forte odore di miele. In mezzo ai campi, il gambo rossastro, le foglie verdi e i fiori bianchi componevano una bellissima macchia colorata. La raccolta del grano saraceno avveniva verso la fine del mese estirpando completamente le piante. Le donne, con il falcetto, tagliavano, le radici e raccoglievano gli steli formando ampi covoni. Successivamente veniva trasportato a casa per la trebbiatura. Dopo questa operazione che, di solito si svolgeva sul “somas”, gli steli detti “patuzi”, erano messi da parte e adoperati come lettiera per le mucche.
Per ultimo i contadini raccoglievano le patate. L’operazione avveniva usando un aratro di legno (plöo da parfender). Questo lavoro, generalmente, impegnava tutta la famiglia; il ragazzo conduceva le mucche, il padre teneva le stive dell’aratro, mentre le donne, dietro, raccoglievano i tuberi e li sistemavano nei cesti di vimini. Quando erano colmi, li svuotavano nella “bena”. Finito il lavoro, il prodotto veniva portato a casa e sistemato nella cantina più fresca. Con calma, quindi, si procedeva alla selezione dei tuberi. Le patate più grosse erano usate per la famiglia, mentre le più piccole venivano bollite e utilizzate come pasto dei suini.
Nella prima decade di settembre ritornavano le mucche dall’alpeggio e con il loro arrivo i caseifici aumentavano sensibilmente la propria produzione. Allora essi funzionavano con il sistema turnario. A rotazione i soci dovevano aiutare il casaro e fornire la legna per la caldaia. In cambio si tenevano tutto il formaggio e il burro prodotto in quel giorno. Per racimolare qualche soldo, il burro, di solito, veniva venduto nei centri più grossi.
Le nostre nonne in cucina, usavano prevalentemente lo strutto preparato durante l’inverno precedente e conservato gelosamente in cantina nei “pitari” di terracotta.
Verso gli anni 50/60 del secolo scorso i nostri caseifici si trasformarono in società cooperative e iniziarono la produzione del formaggio grana.
Settembre era anche il mese delle fiere. Il periodo era favorevole per il diminuito impegno agricolo, per il rientro delle mucche dalle malghe e per la necessità di incrementare o diminuire il numero dei capi della stalla durante l’inverno. I contadini, per questi motivi, ma anche per tenersi informati, vi partecipavano abbastanza assiduamente.
In zona le fiere più importanti erano quella di Cles, (San Rocco, terza domenica d’agosto) e quella del 21 settembre a Malè per la festa di san Matteo (san Matè). In quelle occasioni sulla piazza della fiera c’era un continuo vocio di gente proveniente dai vari paesi della valle. Spesso era accompagnato del muggito dei bovini e il grugnito dei suini.
I “merciandei”, o “mediatori” col cappello sulle “ventitré” si davano un gran daffare per concludere il maggior numero di contratti possibili. Queste persone erano delle figure particolari ormai quasi scomparse. Avevano una parlantina fluente; sempre pronti a magnificare la bestia oggetto della trattativa e a dar ragione ora l’uno, ora all’altro, ma con molto tatto e garbo, fingendo, nello stesso tempo, il massimo disinteresse personale per l’affare. Dopo ore di trattative, se l’affare andava in porto, il mediatore prendeva la mano destra di chi fingeva di non voler comprare e l’altra destra di chi fingeva di non voler vendere e le batteva violentemente una sull’altra. Quindi, dava una botta sulle due mani congiunte e così siglava il patto (taiar). Ormai l’affare era fatto e non si poteva più tirarsi indietro. Quel gesto sanciva una compravendita ed era più vincolante di un rogito notarile. La parola “data” era sacra e inviolabile. Altro che oggi!