Chi ha ucciso il gatto di Schrödinger?
Questo mese cambiamo decisamente argomento, niente informatica, niente domotica e niente tecnologia! Sarete contenti!
Questa mattina mi sono svegliato, tardi come sempre, e mi è venuto in mente un gatto! Si un gatto! Ma non un semplice gatto bensì il Gatto di Schrödinger!
Ora vi spiego anche se dovrò partire un po’ da lontano per descrivere ciò che mi salta in testa la mattina, una mattina estiva con oltre 30 gradi di temperatura.
Siamo nel 1666 e si racconta che un signore, di nome Isaac Newton, fosse colpito in testa da una mela caduta dall’albero. Albero, sotto il quale si era seduto per far ordine nella confusione di pensieri che lo tormentavano. La mela, con un solo colpo deciso, rimise ordine nella mente vulcanica del fisico inglese! Da questo incontro ravvicinato con il frutto principe della Valle di Non, si narre nascesse una delle più eleganti eleganti leggi della fisica classica.
Oh! scusatemi! Mi sono dimenticato, questa volta non parlerò di tecnologia bensì di fisica. Ora vi chiederete cosa c’entra un gatto con la fisica. Lasciatemi continuare e presto capirete.
Newton, come dicevo, sembrava aver messo termine ad un lungo percorso di ricerche, teorie e dispute con la chiesa. La scienza pareva intenzionata a togliere alla stessa il ruolo di centralità su una terra voluta al centro dell’universo. Ne aveva saputo qualcosa il povero Galileo costretto, nel 1633, ad abiurare le teorie copernicane eliocentriche che aveva sposato.
Ma, divagazioni a parte, Newton con i suoi famosi enunciati della dinamica e la legge di gravitazione universale (quella della mela in testa), pareva aver posto basi solidissime sulle leggi che governavano la natura. In questo clima di entusiasmo illuminista, seguirono altre scoperte fondamentali che trovarono presto applicazioni pratiche. Si pensi ai principi della termodinamica da cui nasceva la macchina a vapore, all’elettromagnetismo e via dicendo.
Tutto sembrava correre sui giusti binari, tutto ordinato e tutto senza contraddizioni. L’800 scorreva nella profonda convinzione che tutto fosse compiuto e conosciuto.
Lord Kelvin nel 1894 azzardò: “Ormai in fisica non c’è più nulla da scoprire”. Non aveva fatto i conti però con un anonimo impiegato dell’ufficio brevetti di Berna, ebreo e genio di professione: Albert Einstein. Egli con le sue leggi sulla relatività, devastava le certezze di Newton e della sua mela. La relatività ristretta con due postulati di facile lettura ma di altrettando difficile comprensione sradicava alcuni concetti della fisica classica (fisica che rimaneva comunque applicabile, con un’approssimazione del tutto accettabile, a situazioni di normalità). Le due leggi, riassunte in breve, affermano che non esiste un sistema di riferimento privilegiato rispetto ad un’altro. Ossia non è possibile stabilire tra due sistemi in movimento relativo quale sia fermo e quale in movimento, pertanto non ha più senso dire sono fermo (sulla terra siamo fermi rispetto al terreno su cui poggiamo, ma siamo in movimento rispetto al sole). Il secondo principio è ancora pù sconvolgente e decide che l’unico punto fermo (si fa per dire) è la velocità della luce (300.000 km. al secondo). Se fate due conti, vi accorgerete che questo significa che avvicinandosi alla velocità della luce il tempo si contrae fino a fermarsi del tutto a 300.000 km. al secondo (come dire che avendo nelle gambe la forza di spingere una bicicletta a questa velocità, cosa impossibile più che improbabile, saremmo immortali).
Neanche il tempo di incassare il fendente relativistico, che arriva la botta quantistica. In verità Max Plank ed altri fisici di fine ottocento era già da tempo che covavano queste idee sotto la cenere. La fisica quantistica si occupa del comportamento del mondo infinitamente piccolo nel quale, ci si accorse, scricchiolavano sia le leggi della fisica classica, quanto quelle rivoluzionarie della relatività di Einstein. Si passava dal mondo infinitamente grande di Einstein a quello infinitamente piccolo della fisica quantistica. Vi risparmio, per ovvie ragioni, il tormentato percorso della prima metà del ‘900 con un susseguirsi di scoperte incredibilmente rivoluzionarie. Si pensi, nel bene e nel male all’energia atomica, ed alle migliaia di applicazioni nel mondo moderno: apparecchiature di medicina nucleare (TAC, Risonanaza, PET), ai laser, ai microchip utilizzati nei computer, negli smartphone ed altre apparecchiature elettroniche.
La cosa più affascinante e di non facile comprensione sono i risvolti filosofici di queste teorie. Esse introducono e codificano un concetto nuovo nella fisica; quello dell’incertezza, della sovrapposizione di stati, e dell’influenza dell’osservazione nel comportamento degli oggetti quantistici. Nel 1927 con un esperimento (doppia fenditura) si dimostrò che gli elettroni (i satelliti che ruotano intorno degli atomi che compongono tutta la materia, noi umani compresi) vivono in uno strano stato di sovrapposizione, a volte si comportano come delle piccolissime particelle (pensiamo ad un proiettile immensamente piccolo) a volte come delle onde (un raggio di luce, un segnale radio, ecc.). Quindi vivono in questa ambiguità e, cosa ancora più strabiliante, sta nel fatto che se si conducono degli esperimenti per verificarne lo stato essi sono influenzati dal tipo di osservazione eseguita. Si comportano come particella se cerchiamo le particelle, da onda se vogliamo dimostrare che sono onde. Questo ed altri concetti dei comportamenti quantistici e dell’incertezza che governa il micromondo, venne riassunto da Erwing Schrödinger nel famoso esperimento del gatto. Cerco di semplificare la descrizione dell’esperimento per soffermarmi invece sui risvolti filosofici che sono alla base del comportamento dei “mattoncini” (elettroni ed atomi) che costituiscono l’intero universo. Prendiamo il nostro povero gatto (non me ne vogliano gli animalisti, è solo un esperimento mentale) e lo chiudiamo in una scatola di acciaio. Dentro la scatola mettiamoci una sostanza radioattiva (una sostanza i cui atomi possono rompersi e “sparare” elettroni). Un contatore Geiger verificherà in continuazione lo stato dell’elemento radioattivo attivando un meccanismo a base di cianuro che ucciderà il gatto se un solo atomo si spezzerà. All’interno della scatola, entro un intervallo di tempo determinato, un atomo potrebbe spezzarsi come no.
Per un osservatore esterno alla scatola, in questo intervallo di tempo, il gatto potrebbe essere sia vivo che morto. Tutto il sistema scatola e gatto rinchiuso sono in uno stato di sovrapposizione: il gatto, sempre per chi osserva da fuori, è contemporaneamente morto e contemporanemante vivo.
In precedenza Werner Heisenberg formulò il suo principio di indeterminazione che dimostrava l’impossibilità di stabilire contemporaneamente posizione e velocità di un oggetto quantistico: tanto più accurata è la misura della sua velocità, tanto più indefinita è la sua posizione e tanto più precisa è la misurazione della posizione, tanto più imprecisa è la sua velocità. Come dire che il mondo infinitamente piccolo ci si presenta solo da un lato, se lo guardiamo da una parte non riusciamo a vederlo dall’altra.
Secondo le recenti teorie della fisica l’universo vive in una sorta di inspiegabile (per ora) paradosso dove una cosa può anche essere un’altra, dove uno morto può anche essere vivo, dove un oggetto è in un posto e contemporaneamente in un altro posto … Che mondo! Pare di essere nella mente di un politico dove tutto è vero e contemporaneamente falso!
P.S. Ho sbirciato nella scatola, ponendo fine alla sovrapposizione di stato, “il gatto è vivo”!