Frutticoltura: due gravi sfide parassitarie
Ripercorrendo la storia frutticola degli ultimi decenni non possiamo dimenticare le due patologie che più hanno lasciato il segno nel settore melicolo preoccupando fortemente tecnici ed agricoltori.
Scopazzi
Si tratta di una grave malattia del melo provocata da fitoplasmi (microrganismi simili ai virus). Le piante colpite, nella fase acuta, producono meno ed i frutti sono fortemente compromessi nella loro qualità.
Fino ai primi anni ’90 si osservava la presenza di questa fitopatia solamente sulle vecchie piante di Renetta ed eventualmente su piante di Golden sovrainnestate su Renetta. A partire dal ’94, nell’alta Val di Non e Val di Sole, si cominciò a notare una leggera diffusione anche negli impianti di Golden e Stark D. Questo fenomeno, anomalo rispetto al passato, destò subito preoccupazione. Secondo la conoscenza scientifiche di allora questa malattia si trasmetteva solo attraverso innesto utilizzando del materiale vegetale infetto. Ciò però non collimava con le osservazioni di campo e ben presto si ritenne che doveva esserci qualche insetto in grado di trasmettere la malattia dalle piante già ammalate a quelle sane. Questo dubbio non ci lasciava per niente tranquilli perché, se così fosse stato, significava che eravamo esposti ai rischi di una vera potenziale epidemia su melo.
In quegli anni, si era passati dall’utilizzo di insetticidi a largo spettro d’azione, molto nocivi anche per gli insetti utili, a quelli con azione più mirata su singoli patogeni, secondo i principi, che iniziavano a prendere piede, della lotta integrata. Molto probabilmente, ciò ha favorito il proliferare di cicaline e psille. Questi fitofagi, cosiddetti secondari, in effetti non destavano particolari problemi per i danni diretti che potevano fare alla produzione. Tuttavia, sospettammo che potessero avere un ruolo nella diffusione degli scopazzi, in quanto succhiatori di linfa. Con la collaborazione dei ricercatori dell’Istituto Agrario, iniziarono le prime prove di verifica sulla loro capacità di trasmissione della malattia. Le procedure furono laboriose ma condotte con severi criteri scientifici e per la prima volta al mondo, nel 1997 la dott.ssa Elisabetta Vindimian, dimostrò che le psille erano in grado di trasmettere questa pericolosa fitoplasmosi. Tuttavia il mondo scientifico e tecnico era piuttosto diviso fra chi (pochi) vedevano un grave rischio per la melicoltura e chi invece riteneva che fosse possibile una normale convivenza con la malattia stessa.
Purtroppo, a partire dai primi anni ’00, assistemmo ad una vera esplosione dell’epidemia a partire dall’alta valle ma con una successiva e preoccupante espansione anche verso la bassa valle e le altre zone del Trentino Alto Adige. Oggi, con il senno di poi, possiamo confermare che ogni epidemia è come un incendio, e quindi, se non viene contenuto nelle fasi iniziali, poi divampa in maniera distruttiva.
Da quando venne confermata la pericolosità delle psille nella diffusione, iniziarono subito delle osservazioni in campo per capire il loro ciclo biologico in modo da poterle combattere, dove ritenuto necessario, in maniera mirata. Contestualmente si raccomandava di tenere eliminate le piante colpite per ridurre l’inoculo. Questi due capisaldi sono rimasti fondamentali per combattere l’epidemia, anche nei decenni seguenti, nonostante la ricerca abbia molto lavorato per trovare altre soluzioni. In quei primi anni ’00, soprattutto gli impianti più vecchi si presentavano molto compromessi dal dilagare della malattia. La stessa produzione di mele, che in quegli anni era in costante crescita, subì una stasi prolungata.
Come per altre malattie, ritenute particolarmente pericolose per una determinata coltura, anche per gli scopazzi venne emesso nel 2006 un DM (Decreto Ministeriale) che rendeva obbligatorie per legge le misure di contenimento sopra esposte. Visto il degenerare della situazione, nel 2006, Apot ha pianificato un programma quadriennale di rinnovo degli impianti più colpiti sostenuto anche con importanti risorse pubbliche. In pochi anni è stata rinnovata quasi metà della superficie frutticola favorendo, in maniera decisiva, il risanamento dall’epidemia, con un proficuo ringiovanimento e adeguamento degli impianti. Continuando a mantenere alta l’attenzione nell’applicare le misure di contenimento, negli anni successivi si è poi riusciti a controllare la malattia ma non ad eradicarla dal territorio e, come la brace sotto la ceneree, rimane sempre un pericolo.
La Ticchiolatura del 2013
Si è sempre saputo che, nei nostri ambienti, la ticchiolatura del melo è la principale malattia fungina in grado di mettere in serio pericolo la produzione. Con la disponibilità di fitofarmaci efficaci e la dovuta attenzione si è però sempre riusciti a difendere le piante efficacemente.
Cos’è successo allora nel 2013? Potremmo definirla “la tempesta perfetta”. Tutti i fattori che favoriscono la gravità di un attacco di ticchiolatura si sono manifestati contemporaneamente alla massima potenza.
In occasione di una pioggia eccezionale, di oltre 100 mm, e prolungata per giorni, nella seconda metà di aprile, una massa enorme di spore ha dato origine ad un’infezione eccezionale in tutta la valle. Mai in tanti anni di attività ho visto un attacco su foglie e frutticini di tale inaudita virulenza. Inoltre l’abbondanza della pioggia aveva dilavato completamente i prodotti trattati nei giorni precedenti e quindi tutta la vegetazione ha subito la forte aggressione del fungo. A ciò dobbiamo aggiungere la forte difficoltà di accesso ai frutteti, divenuti spesso acquitrinosi, con inevitabili ritardi rispetto al tempo utile d’intervento e conseguente ridotta o nulla azione dei prodotti utilizzati.
Questa situazione già molto complicata è stata fortemente aggravata dal persistere, in maggio, di un clima molto piovoso. Ciò ha favorito ulteriori e gravi attacchi del fungo. La situazione che si presentava in campagna a fine giugno inizio luglio era variegata ma in genere grave. Quasi tutti i frutteti presentavano attacco sia su foglie che sui frutti. Nei casi gravissimi il 100% della produzione era compromessa e le piante hanno subito una grave defogliazione. Fortunatamente nella prevalenza delle situazioni l’attacco era più debole. Il decorso climatico estivo autunnale ha poi aiutato molto a terminare la stagione senza ulteriori conseguenze. Tuttavia, pur con un certo lavoro di selezione manuale in pianta, nel periodo estivo, una percentuale importante di prodotto ha subito un certo danno qualitativo.
Per la ticchiolatura, il 2013 possiamo ben definirlo l’annus horribilis. Sono seguite infinite discussioni e polemiche con la consulenza tecnica che però aveva consigliato gli interventi con gli stessi criteri seguiti negli anni precedenti.
Certamente questa grave situazione fitosanitaria è stata in seguito molto studiata e analizzata cercando di proporre, per il futuro, strategie un po’ diverse e ritenute più affidabili.
Una protezione efficace delle piante passa necessariamente attraverso l’applicazione di misure efficaci ma è importante anche l’esperienza e la professionalità dell’agricoltore nel gestire correttamente le piante e la distribuzione dei prodotti. Bisogna anche essere coscienti che la potenza della natura, a volte, può andare oltre le forze e la buona volontà dell’uomo.