Separazione: assegno di mantenimento in favore del coniuge
Proseguendo nella parentesi dedicata al diritto di famiglia andremo oggi a trattare un tema di interesse generale, ossia quello dell’assegno di mantenimento che uno dei coniugi, in sede di separazione, può essere tenuto a versare all’altro. é infatti noto che in favore del coniuge economicamente più debole, cui non sia addebitabile la separazione, viene solitamente riconosciuto un assegno di mantenimento.
La regolamentazione di tale assegno ha il proprio fulcro nel disposto dell’art. 156 c.c., il quale, al primo comma sancisce che “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”, ed al suo secondo comma precisa che l’ammontare dell’assegno sarà determinato “in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.
Partendo da tale generico e scarno dato normativo, la giurisprudenza negli anni ha elaborato un insieme di principi, che per lungo tempo sono rimasti costanti ed inalterati. In particolare, si è sottolineato come la separazione non estingua il vincolo coniugale, né sospenda o faccia cessare i diritti di contenuto economico ad esso relativi. Pertanto il coniuge separato manterrebbe il diritto all’assistenza materiale che, con il venir meno della convivenza, si trasformerebbe nel diritto al mantenimento.
L’assegno di mantenimento dovrà quindi fornire al coniuge economicamente più debole adeguati redditi propri, facendogli conservare, nei limiti dalle capacità economiche dell’obbligato, un tenore di vita il più possibile analogo a quello vigente nel periodo antecedente la separazione.
Tale assegno non avrà però funzione compensativa, ossia volta a ricompensare il coniuge dei sacrifici fatti nel corso della vita matrimoniale, né risarcitoria di eventuali conseguenze negative derivanti dalla cessazione della convivenza.
Alla luce di quanto esposto, il presupposto per ottenere l’assegno di mantenimento, ossia la mancanza di adeguati redditi propri, è stato letto dalla giurisprudenza nel senso di difetto di redditi adeguati a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Pertanto il partner non dotato di redditi sufficienti a garantirgli un tenore di vita similare a quello avuto in costanza di matrimonio sarebbe legittimato a richiedere un assegno di mantenimento. In ordine alla quantificazione di quest’ultimo la giurisprudenza ha costantemente dettato alcuni rilevanti principi cui il giudice dovrà attenersi nel determinare il quantum dell’assegno. In particolare, è stato affermato che:
- poiché con la separazione non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio, e quindi la condivisione delle reciproche fortune e sfortune, nel determinare l’assegno di mantenimento bisognerà tener conto dell’incremento o del decremento dei redditi dell’obbligato e del beneficiario;
- il concetto di tenore di vita deve intendersi come tendenziale conservazione del tipo di vita condotta in costanza di matrimonio. Pertanto, nel determinare l’inadeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l’assegno, bisognerà tenere conto delle potenzialità economiche dei coniugi nel corso della vita matrimoniale, quale elemento in grado di condizionare esigenze e aspettative del richiedente. Nessun rilievo al riguardo va quindi dato al fatto che prima della separazione il coniuge avesse accettato un tenore di vita più modesto.
Tuttavia è noto come la separazione comporti per i coniugi un aumento/duplicazione delle spese (ognuno di essi dovrà vivere in un’autonoma abitazione con le conseguenti spese per affitto, utenze, ecc.), e pertanto, nella maggior parte dei casi, l’assegno di mantenimento non potrà che garantire solo parzialmente la conservazione del pregresso tenore di vita. Spetterà al giudice trovare il giusto punto di equilibrio tra le nuove situazioni delle parti.
Ciò premesso, di recente è emerso un orientamento giurisprudenziale che sembra intaccare alcuni dei principi dianzi esposti. Ed infatti, in un recente arresto di legittimità sono stati applicati all’assegno di mantenimento alcuni principi dettati in materia di assegno divorzile, da sempre ritenuto diverso e distinto dal primo. In particolare è stato rilevato come nella determinazione del mantenimento non rileverebbe più il tenore di vita tenuto dal richiedente in costanza di matrimonio, in quanto la funzione dell’assegno non sarebbe più “quella di realizzare un tendenziale ripristino del tenore di vita goduto da entrambi i coniugi durante il matrimonio ma invece quella di assicurare un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare” (Cass., 19 giugno 2019, n. 16405).
In un successivo arresto giurisprudenziale è stato altresì affermato come la funzione equilibratrice del reddito delle parti propria dell’assegno di mantenimento non sia “finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’ex coniuge”, pertanto al medesimo dovrebbe riconoscersi una “funzione assistenziale …e una funzione compensativa” che non richiedono di far ricorso al principio della conservazione del tenore di vita, ma di tener conto del contributo fornito dall’ex coniuge più debole economicamente alla vita familiare (Cass.15 ottobre 2019, n. 26084).
Tali nuovi arresti giurisprudenziali, qualora trovassero un seguito, andrebbero a incidere non poco sulla materia, ed in particolare sia sui presupposti per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento, sia sulla sua quantificazione. Non resterà che attendere quale sarà l’evoluzione giurisprudenziale in materia al fine di verificare se tale orientamento avrà un seguito, o prevarrà la consolidata posizione sopra delineata.