Olinda e Arunte
Nel precedente articolo abbiamo parlato del castel Nanno, allora perché non continuare a fare un tuffo nel passato per entrare in queste fortezze di cui le nostre valli ne sono ricche. Questi nostri castelli sono un bene culturale di cui vantarcene e andarne fieri.
Fortezze piene di cultura, storia, misteri, intrighi e leggende da trasmettere ai nostri figli e ai nostri nipoti perché tutto questo continui a vivere, senza cadere nell’oblio.
Di seguito vi riporto la leggenda che avvolge di mistero il castello di Caldés, leggenda ispirata da una storia vera, la storia della contessina Marianna Elisabetta di Thun, scappata per amore con Alfonso Bertoldi di Cles. Ma mentre il Bertoldi riuscì a sfuggire all’ira di Antonio Simoni, padre di Elisabetta, quest’ultima venne catturata e rinchiusa in una stanza di Castel Caldés, dove morì pazza di dolore.
Olinda, e se io ti ordinassi di sposare il conte Ulrico di Altaguarda? La voce grossa e cattiva del conte Rodemondo di Caldés risuonò a lungo nella sala del castello.
– Padre mio, non posso… – sussurò la bella Olinda, inginocchiata ai piedi dell’uomo.
– Non puoi? Eh, lei non può! Ma chi ti credi di essere, una regina che può scegliersi il marito? Sei solo mia figlia, carina, l’ultima figlia rimastami ed è mio dovere accasarti al meglio!
– Ma perché proprio il conte Ulrico, quel…quel bruto senza Dio, violento e torturatore di innocenti…
– Son tutte storie, fantasie di comari, quelle…Ulrico governa bene il suo feudo, con mano ferma a chi si conviene a chi è padrone… e poi ho deciso così e…
– Io non lo voglio!
Era per la prima, volta in vita sua, che Olinda osava interrompere suo padre. Chinò quindi gli occhi a terra, aspettandosi lo scoppio furioso di rabbia dell’altro, che non tardò a scatenarsi…
– Non vuoi? Prima non potevi, mentre adesso non vuoi… Se ci fosse in vita ancora tua madre, ci penserebbe lei a farti cambiare idea!
– No, nemmeno la mia povera mamma ne sarebbe capace, perché io ho promesso il mio cuore a un altro uomo!
Arunte era un bel giovane, vagabondo per scelta e cantastorie per vocazione. Girava di castello in castello fin da quando era fanciullo, regalando a dame e cavalieri un ricco repertorio di canzoni e di poemi in versi, tutti composti e scritti da lui.
Da qualche tempo Arunte viveva a Castel Caldés e lì, canzone dopo canzone, poesia dopo poesia, aveva fatto breccia nell’animo di Olinda: si erano follemente innamorati, e di nascosto si erano anche scambiati gli anelli di fidanzamento. Mancava solo l’assenzo di Rodemondo e poi i due giovani già sognavano nozze stupende, figli belli e allegri e lunghi anni di felicità.
– Il cuore a un altro? E senza che io ne sappia qualcosa?
– E’ Arunte, padre mio, il nostro cantastorie.
L’ira sibilò improvvisa e un sonoro ceffone fece stramazzare a terra la povera Olinda.
– Arunte? – urlò Rodemondo dal balcone, -avete sentito? La vostra contessina ha deciso di sposare un fannullone, un omuncolo senza arte né parte…siete contenti, eh? Hai visto? Nessuno risponde: non hai nessuno dalla tua parte. Nemmeno il tuo bell’Arunte!
Rodemodo chiuse la sua bella Olinda nella torre del castello ed erano ormai tre giorni e tre notti che se ne stava prigioniera nella sua cameretta, nutrendosi con il poco pane e la poca acqua che le portava ogni mattina la guardia del castello. L’unico sfogo che le era concesso da suo padre era dipingere ed è lì che Olinda affrescò le pareti della torre, ritraendo immagini del suo perduto Arunte, (ancor oggi nella torre del castello di Caldés possiamo ammirare i suoi dipinti).
Non era la fame e la sete a gettare nella più nera disperazione Olinda: era il non sapere nulla del suo Arunte a farla impazzire di dolore.
Ma all’improvviso il silenzio della camera venne rotto dalle note di un liuto che suonava lontano…e poi una voce…la “sua” voce… la voce di Arunte cominciò a cantare una poesia d’amore. Olinda si scosse e alzò gli occhi alla finestrella: ma allora era vivo! Nessuno era ancora riuscito a fargli del male e… Oddio! Se suo padre avesse sentito quella voce… sarebbe stata la fine del giovane cantastorie!
– Arunteeee – si mise a urlare la giovane, – Arunte, scappa! Lasciami perdere, preferisco morire, piuttosto che non vederti più… vattene, mio padre è pericoloso…
Il dolce suono del liuto s’interruppe e la dolce voce del poeta soffocò in mezzo a un trambusto di urla, schiamazzi e rumori di ferri. Poi il silenzio scese sul Castello di Caldés.
Alla povera Olinda, più che mai decisa a non cedere ai desideri del padre, vennero tolti anche l’acqua e quel poco pane e di lì a qualche giorno morì.
Ogni tanto e per molti anni, sul far della sera un uomo alto, pallido e vestito di nero, si sedeva sul tumulo e stringendo in mano un vecchio liuto sottovoce cantava belle poesie d’amore.
(Tratto da “Mille leggende del Trentino” di Mauro Neri)