Anno 1321: Vigo – Dardine “La pace fu”
Correva l’anno 1321. A Ravenna, il 13 settembre, moriva Dante Alighieri, sommo poeta, padre della lingua italiana e autore, fra l’altro, della celebre “la Divina Commedia”.
Da allora sono trascorsi i sette secoli.
A Vigo la cosa certamente sarà passata inosservata. Allora non possedevano gli attuali mezzi di comunicazione sociale. In paese, però, proprio in quell’anno ci fu un avvenimento importante. Da pochi mesi, infatti, si era chiusa, con esito favorevole, l’annosa vertenza con gli abitanti di Dardine, appartenenti alla Pieve di Sant’Eusebio in Torra, che aveva creato un grande malumore fra la gente.
Che cosa era successo?
“I censiti di Vigo, da un po’ di tempo, si erano accorti che gli uomini della comunità sopra citata sfruttavano arbitrariamente e abusivamente i boschi del monte Malachino, appartenente ai censiti della Pieve di Santa Maria Assunta in Ton”.
Si potrebbe osservare che questa era solo una delle tante e solite liti fra paesi confinanti. Certamente sarà stato così, però in qualche modo occorreva risolverla. Ma come? Dai documenti antichi si evince che, spesso, la ragione era del più forte. In questo caso, invece, venne definita in un modo civile, democratico e pacifico dando la parola alla popolazione locale.
Appunto, per questo motivo, il 30 maggio 1321, ultima domenica del mese, nella piazza di Vigo, sotto un albero, venne convocata una pubblica“Regola”.
Preavvisati dal “saltaro” e chiamati dal suono della campana, si radunarono tutti i “capifuoco” (capifamiglia) delle ville di Vigo, Toss, Masi e Novesino (Nosino), e Castelletto, alla presenza del notaio signor Nigro, detto Zoccolo, dei Signori di Belvesino (castel Thun) e dei testimoni Domenico Sicher di Cles, Varimberto figlio di Nicolò di Denno, Benedetto di Medium Sancti Petri (Mezzolombardo) e altri.
Nell’atto sono stati riportati fedelmente tutti i nomi dei presenti, compresi i rappresentanti della comunità di Dardine.
Il documento inizia con il consueto prologo “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, indizione quarta ecc…” e poi dice che il REGOLANO, in apertura d’assemblea, fece presente ai convenuti che gli abitanti di DARDINE erano soliti recarsi, impunemente e senza alcuna licenza, sul Monte Malachino, di proprietà dei censiti di Ton, per far legna, tagliare “late” e fare “frate”. L’estensore dello scritto non cita i vari interventi, ma verbalizza solamente la decisione finale.
Il documento certifica, infatti, che gli uomini di Vigo: “Fecero per loro e per gli eredi la dedizione, la cessione, la tradizione, la piena, libera e ferma vendita con proprio diritto, ciò che proprio (…) in perpetuo (…) agli uomini della Villa di Dardine della Pieve di S. Eusebio, diocesi di Trento (…) di un monte con terra, boschi ed alberi infruttiferi per indiviso cogli detti uomini della detta comunità di Vigo, Toss, Novesino e Castelletto della predetta Pieve di Tono; il quale monte si chiama Malachino e giace sul territorio della Pieve di Vigo”.
(…) “Detti uomini di Dardeno (…) uno ed insieme gli stessi uomini della comunità della Pieve di Ton debbano servirsi, pascolare tenere ed avere di diritto avere il possesso in detto Monte Malachino senza alcuna molestia (…) ma debbano in quiete ed in pace insieme ed in perpetuo per sé ed i loro eredi ”.
Prosegue dicendo, fra l’altro, che le due comunità, in stretto accordo e senza molestie: “Vadano, e ritornino, possiedano e pascolino e capulano (capulare = tagliuzzare, sminuzzare) e boscheggiano e avere diritto di fare fratte in detto monte…quietamente e pacificamente.”
Inoltre: “Giurò il sig. Jorio per sé e come regolano della detta comunità della Pieve di Tono e delle stesse comunità sopra le anime di tutti i soprascritti a loro volontà, toccati i Santi Evangeli, di bene attendere le cose sopradette ed osservarle e di non contraffarle per nessuna ragione e, di fatto, sotto pena de li propri beni”.
Gli abitanti di Vigo erano buona gente ma pur sempre “nonesi”. Non fecero niente per niente. In cambio di questa concessione chiesero e ottennero 100 troni (il trono era una moneta d’argento del peso di circa 6 grammi).
Vollero, inoltre che: “Gli stessi uomini e detta comunità di Dardine e assieme coi detti uomini di detta Pieve di Tono debbano e sieno obbligati a fare ed aiutare in proporzione qualunque cosa fosse opportuna in favore della chiesa di S. Maria di Tono. (…) eccetto che non siano obbligati di pagare qualche candela e altre cose che appartengano al’illuminazione”.
Erano le cosiddette “concorrenze” che le chiese filiali (vedi Toss e Masi) erano tenute a pagare per il mantenimento della chiesa madre (Pieve).
Con questa risoluzione cessarono le rivalità e le discordie fra gli abitanti di Vigo e Dardine. Per la verità, qualche screzio di piccolo conto, nell’arco dei sette secoli, sorse anche dopo come, ad esempio, quando la comunità di Dardine fece ricorso contro l’acquisto di un turibolo per la chiesa di Vigo, da loro considerato troppo costoso.
Lo stesso fecero in altre occasioni ad esempio quando la stessa chiesa volle dotarsi di un nuovo gonfalone e, più tardi, di un nuovo organo.
Detta “concorrenza”, di fatto, cessò nel 1926. In quell’anno la comunità di Dardine partecipò con un contributo straordinario all’acquisto delle sei campane di Vigo che sostituivano le quattro precedentemente requisite dallo Stato durante la prima guerra mondiale.
Lo scritto evidenzia come anche i nostri avi, settecento anni or sono, conoscessero, non solo a parole, ma anche con i fatti, il valore della democrazia e della pacifica convivenza.
Questo reperto è il più antico documento esistente nell’archivio comunale di Ton ed è il primo atto che cita la comunità di Dardine. Il documento è controfirmato in calce da tre notai imperiali: Antonio di Redatino, Bernardo e Avanzo.