Il drago di Nambino
Un caro saluto ai lettori de “il Melo” di tutte le età.
In questo articolo mi rivolgo a voi ragazzi, genitori, nonni… sapete cosa significa challenge? (è una parola inglese che in italiano significa sfida).
E tradizione cosa significa? (è una testimonianza, una notizia trasmessa da una generazione all’altra nel tempo).
Vi dico questo perché voglio lanciarvi una challenge, una sfida sicuramente migliore delle sfide proposte sui social: ragazzi provate per un attimo a spegnere i cellulari e chiedete ai vostri genitori o ai nonni di raccontarvi una storia, una fiaba nata nel nostro territorio e voi genitori, nonni, invitate i vostri figli, nipoti, a sedersi accanto a voi e tramandategli una vostra esperienza di vita, raccontate loro le fiabe come un tempo, come quando anni fa nelle stalle raccontavate ai vostri figli il filò, le storie delle nostre montagne, dei nostri paesi. Di seguito vi riporto uno stralcio della leggenda tratta dal bellissimo libro di Quirino Benzi “LUNGO LE RIVE DEL NOCE – Leggende e racconti delle Val di Non e di Sole”.
Vi invito a leggere questo racconto in famiglia, perché la tradizione non muoia.
Allora challenge accettata?
IL DRAGO DI NAMBINO
Nambino: specchio ridente d’acqua, gemma incastonata in un anello di selve verdi sopra di cui l’occhio spazia fra i pinnacoli rosei del Brenta.
Ma un giorno le acque quiete tremarono, i salmarini fuggirono terrorizzati, le trote cercarono riparo fra i massi del fondo: un drago orrendo infestava le onde.
Le genti di Rendena, cui il lago appartiene, scesero verso Val di Sole in cerca di famosi cacciatori. Ed i due più bravi risalirono la Val de la Selva. Ma prima di accingersi all’ardita impresa di liberare il lago dal mostro, essi si recarono davanti all’immagine della Madonna nel santuario di Campiglio. Promisero di portar nel tempietto le spoglie del drago se Maria avesse protetto la loro audacia.
Alba chiara che sfuma il cielo sul merletto dei crinali montani. Brezza che scende dalle creste, fra gole e forcelle, e scuote la chioma fronzuta dei larici alpini. Qualche uccello sbatte le ali al rumore dei due cacciatori che salgono al lago. Un capriolo fulvo sbuca dal folto degli ontani: fortunato perché questa volta il piombo non è per lui. Una piccola folla trepidante segue di lontano i due coraggiosi. Ormai il più audace s’appressa alle acque terse del laghetto alpino. In caso di bisogno chiamerà: “Aiuto!”.
Le acque si muovono: dal centro del lago avanza il drago con le fauci sprizzanti venifiche fiamme, mentre occhi di fuoco guardano il cacciatore. La bestia si avvicina nuotando a pelo d’acqua, verso la sponda. Sale sulla proda erbosa. Il cacciatore spara: il dragone ulula ferito e nella contorsione della morte sprizza il veleno sul cacciatore accorso. Ed il veleno uccide l’intrepido mentre dalla folle sale il grido d’evviva.
Il compagno e la gente ora accorrono: vedono la tragedia ed i canti della vittoria si tramutano in pianti di dolore.
Spalle robuste di montanari portano ai piedi della Madonna di Campiglio il cacciatore ucciso. Accanto a lui le spoglie del drago e un suo uovo.
Molti anni più tardi le sponde del lago videro il gran mondo di Madonna di Campiglio specchiarsi nelle acque chiare, mentre nelle rustiche case del popolo si perdeva pian piano l’eco della vecchia leggenda.
Annamaria Dragone